Uno, due, tre e quattro. Un piede davanti all’altro, senza perdere l’equilibrio, e poi si ricomincia. Uno, due, tre e quattro. I semi di fagioli scivolano dalle nostre mani nel solco tracciato dall’aratro. Poi li pestiamo a piedi nudi sulla terra, facendo attenzione a non uscire dai solchi. “Togliti le scarpe!” mi aveva detto Marta, che coglie ogni occasione possibile per camminare nella natura a piedi scalzi. Io, all’inizio un po’ titubante, le avevo tenute, ma poi le diedi ragione: si riempivano di terra e non avevo abbastanza controllo sul movimento del piede. Quando le tolsi, il contatto con la terra soffice e umida, appena rimestata dall’aratro, fu una sensazione che non volevo più lasciare, il contatto quasi inebriante con la Ñuke Mapu (come chiamano i Mapuche la Madre Terra), come se risvegliasse in me qualcosa di ancestrale che non so se avessi mai conosciuto. “Il camminare ti entra da terra” diceva una canzone che cantavamo sempre agli scout. Sotto un sole cocente, fra gli odori della campagna sureña (del sud del Cile), compivamo il gesto imperituro della semina, ripetendolo a ogni passo come una sorta di meditazione, di mantra.
Noi volontari – Alvise, Manuel, Marta e io – in servizio civile con l’ONG COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo) ci sentivamo onorati di essere stati invitati dal nostro partner locale, Medema (Mujeres Emprendedoras de Malalhue), a prendere parte alla semina dei fagioli, che con molti sacrifici, scarsi mezzi e un magro ricavo, da tre anni porta avanti. Per noi, cresciuti in grandi città, fu un’esperienza impagabile. Per Manuel e Marta era la seconda volta che volentieri prendevano parte a questo evento comunitario, che rientra nella parte agricola del nostro progetto. Quest’ultimo intende sostenere la minoranza mapuche di Malalhue, nel sud del Cile, dove ci troviamo da luglio scorso. I Mapuche sono un popolo indigeno che vive nelle zone meridionali del Cile e dell’Argentina e che, secondo l’Instituto Nacional de Estadísticas (INE), rappresenta il 10% della popolazione cilena e il 31% di quella della comuna di Lanco, in cui ricade Malalhue. Il terreno che stavamo seminando si trova all’interno della Comunità Indigena rurale di Panguinilahue Alto, nelle vicinanze di Malalhue. Il progetto di servizio civile in cui siamo impegnati intende supportare la minoranza mapuche locale tramite la valorizzazione del patrimonio culturale indigeno e il sostegno ai giovani locali in un percorso di formazione culturale e artistico, per metterli in condizione di programmare concretamente il proprio progetto di vita personale e professionale. Fra le varie attività previste rientra l’aiuto nel lavoro agricolo a Medema, che è un’organizzazione al femminile di contadine e artigiane, prevalentemente mapuche.
“Cantaci una canzone di Violeta Parra!” mi disse Marta. “Para olvidarme de ti voy a cultivar la tierra” intonai, cantando l’inizio de La jardinera, mentre continuavamo a seminare, per poi continuare con El guillatún e Gracias a la vida.
La parte della semina (ngan, come si dice in mapunzungun, la lingua dei Mapuche), che preferivamo era quella in cui bisognava coprire ogni solco, con i piedi che si immergevano nella nuda terra e dai due cumuli laterali la portavano al centro. “È come accarezzare la terra!” dissi, al che Marta annuì sorridendo con i suoi occhi verdi.
In un momento di pausa, mentre chiacchierava con le donne di Medema, si girò distratta dal sonoro russare di Alvise e vide lui, Manuel e me distesi lunghi lunghi per terra, sprofondati in una “siesta a pierna suelta”, come dicono in spagnolo, un sonno imperturbabile (“a gamba sciolta”, letteralmente). Eccoci là, tre cittadini catapultati nel lavoro dei campi! Personalmente era proprio per questo che avevo voglia di sporcarmi le mani, di lavorare sotto al sole cocente: perché il luogo in cui si è nati e cresciuti non può dire l’ultima parola su ciò che siamo, che invece è dato dalle nostre scelte, dalle sfide che accettiamo – nonostante le difficoltà che comportano –, come quella di vivere per un anno dall’altra parte del mondo, in una realtà completamente diversa da quella a cui eravamo abituati. Ci siamo rifocillati con acqua e farina tostata, un alimento diffuso in questa zona ed apprezzato perché disseta ed è nutriente. Dopo la nostra siesta, abbiamo ascoltato di credenze ancestrali mapuche sulla semina: ad esempio, non bisogna seminare il mais quando si ha fame, altrimenti i chicchi cresceranno piccoli e secchi. Del resto, la terra ha un’importanza fondamentale nella cosmovisione e nella spiritualità dei Mapuche, tanto che il loro stesso appellativo deriva da mapu, “terra”, e che, “gente”, e viene tradotto come “gente della terra”. In un territorio in cui quest’ultima viene spesso inquinata o prosciugata dalle aziende forestali, e in cui l’uomo molte volte intrattiene con essa solo legami commerciali, i Mapuche continuano ad avere con la terra un profondo legame spirituale e sentono di appartenerle piuttosto che esserne i proprietari. Aveva detto bene Marta: quella semina era un’esperienza spirituale. Perciò, speriamo che quelli che abbiamo piantato a Panguinilahue Alto, in quel giorno assolato di novembre, siano semi di resistenza. Ma, ancora di più, il nostro auspicio è che siano semi di speranza, parafrasando il motto del COMI “costruttori di speranza”.
Appena finimmo eravamo quasi esultanti: ci guardammo soddisfatti, fieri. Avevamo condiviso tutto di quella giornata: la fatica, il sudore, il cibo, le conversazioni, le risate. Le donne di Medemasi misero distese all’ombra al bordo del campo, a riposare guardando il frutto del loro lavoro. Facemmo altrettanto.
Dato che siamo un’ONG italiana, per pranzo non poteva mancare una magnifica insalata di pasta, che Alvise cucinò per tutti. Quando andammo a mangiare avevamo tutti le mani (e i piedi) pieni di terra. Tutti si sciacquavano soltanto le mani, senza usare sapone. Vedendo che io non facevo altrettanto, una delle donne di Medema mi chiese se volessi sciacquarmele, ma io domandai se ci fosse del sapone. “È terra, quando morirai sarai terra anche tu” fu la sua lapidaria risposta. Sul momento ero stupito e perplesso e andai comunque di nascosto a lavarmi le mani in bagno. Ma ora, pensandoci, lo collego al profondo legame che hanno i Mapuche con la Ñuke Mapu. Mi rendo conto, quindi, che anche quest’episodio fa parte delle differenze culturali che sono il nostro pane quotidiano qui, così difficili da gestire a viverle sulla propria pelle, eppure così affascinanti. Solo ora, ripensandoci, mi rendo conto di quello che questi piccoli dettagli quotidiani significano – se noi siamo in grado di dare loro questo significato –, cioè quella sensazione di guardare il mondo a testa in giù, con occhi finalmente nuovi, che sono usciti da quella bolla di Occidente in cui siamo nati e cresciuti e che sembrava un destino ineluttabile. È una sensazione di freschezza, eccitazione, curiosità. Una sensazione che mi fa sentire vivo.
Fra i musicisti cileni di fama internazionale non si possono non menzionare anche gli Inti Illimani. Suonare le loro canzoni qui in Cile è per me un grande onore e un’emozione unica. Ricordo quando andai a sentirli a Bologna a marzo scorso: tutta la platea gridava come una sola voce, in un crescendo epico: “El pueblo unido jamás será vencido!”. Il loro tour in Italia, dal nome “Vale la pena”, era incentrato sui diritti umani, in particolare dei migranti, e supportava le attività di Amnesty International Italia. Da quando ero bambino ascolto le canzoni di questo gruppo, che è come un ponte fra l’Italia e il Cile ed ha contribuito a diffondere la storia cilena anche oltreoceano: gli entusiasmi del periodo di Allende, poi il golpe e la tragedia della dittatura di Pinochet – in quegli anni si rifugiarono in Italia, dove divennero famosi durante la contestazione giovanile –, fino ad arrivare alle proteste dell’Estallido social del 2019, durante le quali è stata registrata, a Santiago del Cile, la canzone che ha dato il nome al tour.
Oltre alla chitarra, le attività culturali del COMI si avvalgono della presenza di musicisti locali, invitati ad arricchire le altre iniziative, passando anche attraverso il programma radiofonico che gestiamo due volte a settimana nell’emittente locale Radio Comunitaria e Culturale di Malalhue, che trasmette sulla frequenza 107.5 FM e online, quindi raggiungibile anche aldilà delle frontiere locali e nazionali. Così, abbiamo intervistato nel nostro programma “Mari Mari Kom Pu Che1” Guillermo Jaque Calfuleo, musicista, liutaio originario della comunità mapuche di Puquiñe, ideatore del gruppo musicale “Meli Kvrvf” (che in mapuzungun vuol dire “Quattro Venti”), nonché riconosciuto referente della cultura mapuche. Infatti, con Jaque, si è tenuta una formazione sulla cosmovisione mapuche e i diritti indigeni, a cui hanno partecipato soprattutto donne, le quali fanno parte di MEDEMA, il nostro partner locale. Insieme anche a noi in varie occasioni abbiamo riflettuto su argomenti come la plurinazionalità, l’interculturalità, la Natura, il razzismo e sul concetto tanto caro ai popoli indigeni del Buen Vivir.
Per sottolineare ancora l’importanza della cultura locale e affiancare sia Guillermo che le donne di MEDEMA in questa interessante esperienza formativa, è stata invitata Paola Linconao, docente mapuche in una scuola di Temuco, ma anche artista, compositrice e cantante del gruppo Inche2, il quale fonde la musica mapuche con il rock. Paola è stata invitata come motivatrice, essendo molto attiva e riconosciuta per la sua metodologia di insegnamento e promozione della cultura mapuche nelle aule scolastiche. A livello musicale ha un suo stile personale e i suoi testi sono fedeli al vissuto mapuche, proprio come quelli di Violeta Parra, per denunciare la difficile vita del popolo originario dall’arrivo del cosiddetto sviluppo, che, per dirla con le parole di Eduardo Galeano, “è un viaggio con più naufraghi che naviganti”.
Un terzo e molto interessante incontro con i valori locali è stato introdotto dall’intervista radiofonica a Faumelisa Manquepillán, cantautrice, poetessa e scultrice. Anche lei originaria della comunità di Puquiñe e dedita alla trasmissione della cultura mapuche, è stata recentemente insignita del Premio delle Arti e delle Culture della Regione di Los Ríos 2022, insieme a Nerys Mora, apprezzata docente e agente culturale di Malalhue, nonché fondatrice del museo comunitario malalhuino “Despierta Hermano”, il quale promuove la conoscenza della cultura locale e, quindi, anche mapuche.
Oltre alle interviste, lo spazio radiofonico da noi gestito trasmette musica territoriale e musica mapuche. Quest’ultima fatica a raggiungere i circuiti commerciali e a trovare spazio nelle emittenti più importanti. Il nostro compito, infatti, è quello di rinforzare il territorio, i suoi valori e la sua identità, unica e irrepetibile.
Stiamo tenendo vari laboratori gratuiti: oltre a quello di musica, ne abbiamo uno di danze popolari europee con Marta e uno di scalata con Manuel. Prima delle feste di fine anno ci aspetta il primo saggio di danza e di chitarra, dove vedremo, per la prima volta, le abilità artistiche dei nostri allievi, rinforzate da noi nella veste di insegnanti.
Anche noi civilisti stiamo avendo modo di conoscere e apprezzare in prima persona la musica mapuche, la musica ancestrale, o i suoni della terra, come viene anche chiamata. A riguardo non si può non menzionare il kultrún, un grande e largo tamburo, considerato sacro perché è lo strumento musicale per eccellenza dello sciamanesimo mapuche. Secondo il Museo di Arte Precolombiana di Santiago, il kultrún è “un tamburo di legno (…) elaborato a partire dal tronco di un albero che rappresenta il potere della terra. Ogni machi lo decora secondo una struttura generale, ma con un proprio disegno e lo suona a suo modo. La superficie di cuoio è solcata da linee che dividono il mondo in quattro parti. Al centro c’è il luogo in cui vive la machi e intorno sono raffigurati i poteri ancestrali che la assistono. L’interno del kultrún contiene diversi oggetti magici, nonché la voce della machi da lei introdotta al momento della costruzione dello strumento. Lo strumento si suona vicino all’orecchio affinché la sua ricca sonorità riempia la percezione e faciliti la trance.”
Tornando a Violeta Parra, abbiamo un sogno, di renderle un omaggio, attraverso la presentazione del libro Violeta Parra en el Wallmapu. Su encuentro con el canto mapuche3, pubblicato nel 2017 e scritto da Paula Miranda, Allison Ramay ed Elisa Loncón. Quest’ultima è accademica, linguista mapuche e figura riconosciuta a livello internazionale per il suo ruolo di Presidente dell’Assemblea Costituente, la quale ha redatto la proposta di una nuova costituzione, rifiutata dai cileni lo scorso settembre. Il libro trae origine dalla scoperta da parte delle autrici di quattro nastri fonografici, in cui Violeta intervistava sette ülkantufe (cantori), un cantor e sei cantoras mapuche, e registrava 39 canti in mapuzungun, interpretati dai loro stessi cultori. La cantautrice cilena, infatti, visse per molto tempo a stretto contatto con il popolo mapuche e studiò a fondo la sua cultura (fu anche assunta dall’Università di Concepción per condurre ricerche etnomusicologiche), come quando, ad esempio, intervistò ogni giorno per un mese la machi (sciamana) María Painen Cotaro, che avrebbe avuto un’influenza decisiva sul lavoro creativo dell’artista, come sostiene Miranda.
Fra gli artisti cileni di fama internazionale che hanno dato voce a questi suoni ancestrali c’è anche lo stesso Pablo Neruda. In un suo intervento al Teatro Comunale di Temuco, così si esprimeva il grande poeta: «Sono arrivato ancora una volta a Temuco. (…). Tutto il popolo è venuto allo stadio per ascoltare la mia poesia. Sono salito sul palco mentre il pubblico mi salutava.
Poi ho sentito calare il silenzio e dentro quel silenzio ho sentito sorgere la più strana, la più primordiale, la più antica, la più aspra musica del pianeta. Erano gli araucani4 che suonavano i loro strumenti e cantavano per me le loro dolorose melodie.
Mi commuoveva ancora di più. I miei occhi si annebbiarono, mentre i loro vecchi tamburi di cuoio e i loro giganteschi flauti suonavano su una scala anteriore a ogni musica. Sorda e acuta allo stesso tempo, monotona e struggente. Era come la voce della pioggia, combattuta dal vento, o il gemito di un animale antico, martirizzato sotto la terra».
In effetti, Neruda, come Violeta Parra, per la loro capacità interpretativa, sono artisti tanto amati dagli stessi Mapuche, come Elicura Chihuailaf, primo scrittore mapuche a vincere il Premio Nazionale di Letteratura 2020, che così riflette su Neruda: «In mezzo alla confusione e allo specchio appannato, presuntamente europeo, dei cileni, Neruda ha intravisto il nostro Blu, quello della nostra vita, il colore che ci abita, il colore del mondo da cui veniamo e dove stiamo andando. L’opera di Pablo Neruda è una delle possibilità di dialogo tra i mapuche e i cileni, per cominciare a incontrarci, passo a passo, nelle nostre differenze».
È questo incontro che come Caschi Bianchi5 vogliamo favorire, anche attraverso la musica e le arti. Noi continuiamo giorno dopo giorno a dare il nostro piccolo contributo a questo processo, mentre continuiamo a conoscere l’affascinante e indomito popolo mapuche.
Luigi Donadio Casco Bianco COMI in Cile
1Mari mari kom pu che significa in mapuzungun (la lingua dei Mapuche) “salve a tutte e tutti” ed è un saluto che ci si scambia di mattina o di pomeriggio. È interessante notare che letteralmente mari mari vuol dire “dieci dieci”. Infatti, a volte i Mapuche si salutano dandosi entrambe le mani. Il dieci sta per il numero delle dita: ognuno ne ha dieci (da cui la ripetizione), per cui le due persone, salutandosi così, si riconoscono su un piano di parità e di rispetto.
2Inche in mapuzungun significa “io”.
3 Il titolo del testo, non disponibile in italiano, tradotto, sarebbe, “Violeta Parra nel Wallmapu. Il suo incontro con il canto mapuche”. Il Wallmapu è il nome in mapudungun con cui i Mapuche indicano il loro territorio, che si estende fra il sud del Cile e dell’Argentina.
4 Un altro appellativo dei Mapuche.
5 Prendendo in prestito il nome da contingenti non armati dell’ONU, i volontari in Servizio Civile all’estero (inviati dall’Italia) vengono chiamati “Caschi Bianchi” e hanno il compito di operare in modo nonviolento in contesti di conflitto, potenziale o in atto.
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Le attività musicali del COMI a Malalhue, Cile (prima parte)
di Luigi Donadio
Ogni settimana, delle donne campesinas percorrono un lungo tragitto a piedi con una chitarra in spalla. Dalle comunità rurali mapuche entrano nella piccola cittadina di Malalhue e arrivano al Centro comunitario, sede della delegazione municipale del comune di Lanco, nel sud del Cile. Arrivano anche giovani e madri che portano i loro figli. Lì li aspetto io, accordiamo le chitarre e iniziamo.
Il laboratorio musicale del COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo), la ONG con cui stiamo svolgendo il servizio civile, è iniziato da circa due mesi e abbiamo due incontri settimanali, uno per il livello base e un altro per quello intermedio, con sette alunni in totale. Come tutte le attività realizzate dal COMI, è completamente gratuito, in accordo al principio di gratuità, che è uno di quelli su cui si fonda l’operato dell’ONG. Ci sono persone mapuche e cilene non indigene, bambini, adolescenti e alunne adulte.
«Ho 63 anni e voglio imparare a suonare la chitarra!»
è la prima cosa che ha detto un’alunna, come se si sentisse a disagio, come se per qualche oscura ragione fosse tardi. In un territorio complesso, carente di spazi per attività culturali e ricreative, dal clima freddo e piovoso (d’inverno si supera la media di 20 giorni di pioggia al mese), ognuno sospende i propri impegni quotidiani e per un’ora e mezza alla settimana si dedica a coltivare quest’interesse.
Il laboratorio non mira solo a formare bravi chitarristi, ma soprattutto a far esprimere le proprie emozioni a bambini e adolescenti, che qui generalmente hanno un’attitudine passiva, e a creare aggregazione sociale fra diverse generazioni e culture, come quella mapuche e quella cilena non indigena. Qui ci sono grandi disuguaglianze economiche (soprattutto la minoranza indigena si trova tra le fasce più svantaggiate della popolazione), c’è un welfare assente o insufficiente, l’alcolismo e la tossicodipendenza sono diffusi fin dai 13 anni e si assiste a una forte emigrazione, soprattutto dei giovani. A queste problematiche prova a far fronte il nostro progetto di servizio civile, portato avanti dal COMI in stretta collaborazione col nostro partner locale MEDEMA (Mujeres Emprendedoras de Malalhue1). Il progetto si pone questi obiettivi:
·favorire la transizione verso una maggiore uguaglianza sociale della minoranza Mapuche di Malalhue;
·combattere dipendenze da Alcool e droga, specie fra i giovani;
·rafforzare la motivazione personale dei giovani;
·sostenere i giovani in un percorso di formazione ed empowerment2, per metterli in condizione di programmare e mettere in pratica il proprio progetto di vita professionale e personale.
Il progetto intende raggiungere questi obiettivi attraverso:
· la valorizzazione e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale indigeno, soprattutto tra i giovani;
·il rafforzamento delle possibilità professionali offerte dalle attività tradizionali;
·potenziare la motivazione personale attraverso la trasmissione della conoscenza della storia e dell’identità indigena Mapuche tra i giovani della regione di Los Ríos per promuovere la crescita di individui più consapevoli.
Quindi, il nostro progetto ha due target principali di beneficiari: i giovani e i Mapuche. Questi ultimi, secondo il censimento del 2017 realizzato dall’Instituto Nacional de Estadísticas (INE), sono un popolo originario che rappresenta il 10% della popolazione cilena (1,7 milioni di abitanti), il 24% di quella regionale e il 31% di quella del comune di Lanco3. Questo territorio ha molte potenzialità, che però spesso non sono sufficientemente valorizzate, mentre potrebbero tradursi in sbocchi lavorativi, anche relativi alle tradizioni indigene. Un’area del progetto è la cosiddetta “palestra culturale”, che coinvolge le persone del posto in diverse attività, come una formazione sui diritti indigeni, un laboratorio di danze popolari europee, tenuto da Marta, e il laboratorio musicale. La musica è uno degli aspetti della loro cultura (assieme all’artigianato, l’agricoltura ecosostenibile, l’arte, il mapunzungun4, le piante medicinali e la filosofia indigena) che stiamo cercando di diffondere grazie a esperti e cultori locali.
Alcuni bambini che frequentano il laboratorio musicale si sono presentati, oltre che in spagnolo, anche in mapunzungun, lingua che qui viene insegnata anche a scuola e salvaguardata, tramite varie iniziative, dal pericolo di estinzione a cui sta andando incontro. Anche la conoscenza della propria cultura è meno diffusa che in passato fra i membri di questo popolo originario, soprattutto fra i più giovani. Ci sono mapuche che si fanno cambiare il cognome (uno dei tratti più evidenti dell’appartenenza al proprio popolo) o che comunque si vergognano della propria identità indigena, perché hanno interiorizzato una mentalità promossa da politiche statali spesso monoculturali e che negavano i diritti indigeni (ancora oggi, la Costituzione cilena vigente, varata nel 1980 durante la dittatura di Pinochet, non riconosce i popoli indigeni presenti nel territorio nazionale). Per questo, ascoltare dei bambini presentarsi in mapunzungun è stato emozionante per me.
Quando ci siamo presentati, ho chiesto a ognuno di dire come si era avvicinato alla musica e perché voleva imparare a suonare la chitarra.
«Mio padre aveva imparato a suonare la chitarra da suo padre e quando ero piccola la suonava con mucho corazón (con molto cuore, con molta passione, ndr)» dice un’alunna, mentre con la gestualità e l’espressione comunica molto di più che con le parole. «Era così bello ascoltare come esprimeva le sue emozioni…».
«Ho saputo che c’era quest’opportunità e visto che da tempo volevo imparare, mi sono detta: “Bene, questa è la mia occasione”» racconta un’altra partecipante. «Io lavoro nelle bancarelle del mercato nella piazza e ho visto che c’era una locandina affissa, poi ho parlato con il professore e gli ho chiesto se c’erano ancora posti disponibili. Nella mia famiglia nessuno suona la chitarra e nessuno mi poteva insegnare».
Ma soprattutto, ci sono alunne a cui non manca l’entusiasmo: «Sono qui perché ho voglia di fare tantissime cose, anche di imparare a ballare la cueca (la danza nazionale cilena, ndr)!».
Fin da subito, questo non è stato solo un corso di insegnamento tecnico di uno strumento, ma anche uno spazio di condivisione. Alcuni parlano delle proprie travagliate vicende familiari o di coppia. Sembra che qui le persone abbiano un grande bisogno di parlare con qualcuno. E io a volte non so bene come rispondere. Ascolto, cerco di essere empatico. Ma a volte mi sento molto impotente. Una volta ho detto loro che attraverso la musica si può esprimere ogni tipo di emozione e persino quelle peggiori, come per magia, si trasformano in qualcosa di bello, di artistico, e che ci avvicina agli altri, che abbiano età, lingue o culture diverse.
Non è stato facile iniziare, anche perché, come in vari progetti di servizio civile all’estero, c’è bisogno di una grande intraprendenza e inventiva per sperimentarsi in ruoli nuovi. Io, ad esempio, non avevo mai insegnato a suonare in un corso strutturato e saper fare qualcosa, ovviamente, non significa saperlo anche insegnare. Quindi, sono andato avanti per prove ed errori, ma soprattutto mi sono fatto aiutare da chi ha molta più esperienza di me, cioè l’associazione culturale “Papageno”, che realizza laboratori gratuiti di musica folclorica latinoamericana e mapuche in molte scuole del territorio. Sono andato a volte incontro agli inevitabili fallimenti di chi si avventura in territori a lui sconosciuti, ma provo una soddisfazione enorme quando vedo gli alunni esercitarsi e raggiungere risultati importanti. Mi emoziona vedere la scintilla che si accende nei loro occhi quando capiscono un concetto di musica che mi sembrava difficile da spiegare e, quando dalle loro dita inizialmente goffe esce il suono armonioso di un accordo, mi stupisce come sentire un bambino che inizia a parlare. Alcuni sono molto motivati e io pian piano sto gestendo il mio ruolo con più sicurezza. Stiamo provando una canzone per un concerto di fine anno, che si intitola Alulú e appartiene al patrimonio della musica folclorica cilena. È un villancico,cioè una canzone natalizia a tema religioso, che ha conosciuto molte versioni, fra cui spicca quella di Violeta Parra.
(continua)
Luigi Donadio
Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile
Note
1 “Donne Imprenditrici di Malalhue”.
2Il termine indica i processi attraverso cui cittadini svantaggiati acquisiscono maggiore potere, tramite la partecipazione in associazioni cittadine e ad altri progetti socio-politici. Tali processi includono anche laconquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali che in quello della vita politica e sociale (per approfondire cliccare qui).
3Per i dati a livello regionale e comunale, cliccare qui.
4Il mapunzungun è la lingua parlata dai Mapuche di questa zona. Ne esistono diverse varianti, di cui la più nota è in genere il mapudungun (parlato più a nord).
Il COMI è presente nel territorio cileno con progetti di inclusione sociale e cooperazione allo sviluppo dal 2019, e mantiene una rappresentante permanente nel paese. Oltre a ciò, attraverso il Servizio Civile Universale (SCU) promosso Dipartimento per le Politiche Giovanili del Governo italiano, invia dal 2021, una squadra di volontari.
Il progetto SCU sviluppato da COMI e coadiuvato dal suo partner locale, MEDEMA Mujeres Emprendedoras de Malalhue, si pone due obiettivi:
favorire la transizione verso una maggiore uguaglianza sociale della minoranza Mapuche, attraverso la valorizzazione e conoscenza del patrimonio culturale indigeno
sostenere i giovani del Comune di Lanco in un percorso di formazione, di sviluppo dei propri talenti, di rafforzamento culturale e artistico per metterli in condizione di programmare concretamente il proprio progetto di vita personale e professionale.
È per affrontare queste sfide in un territorio così diverso da quello da cui proveniamo, che ci siamo a nostro modo “preparati”, con generiche e modeste informazioni sul Popolo Mapuche, studiando la sua storia e la sua relazione, mai semplice, con lo Stato cileno.
Inutile dire che tutto ciò che avevamo appreso con poco approfondimento e da lontano, in previsione della nostra partenza, è stato stravolto nelle fondamenta dal nostro arrivo a Malalhue, più di tre mesi fa. La complessità, l’universo di tradizioni sociali, culturali e cerimoniali, le mille contraddizioni che caratterizzano la vita di questa area del Sur, la comuna de Lanco, abitata secondo l’Instituto Nacional de Estadísticas (censo 2017) per un 33% da appartenenti a popoli originari, sono impossibili da comprendere senza calarsi appieno nelle dinamiche quotidiane.
Lo stesso censo ci indica una verità poco intuitiva: del totale della popolazione di origine Mapuche, che si aggira attorno al milione e settecentomila individui, l’80% vive in aree urbane, con una significativa e definitiva perdita delle conoscenze tradizionali relative alla coltivazione della terra, all’artigianato, alla medicina, alla storia, alla filosofia e alla cultura indigena. Il 35% dei Mapuche vive oggi nella Regione Metropolitana, mentre, ad esempio, solo il 18% vive in Araucania che è considerata il cuore e la culla di questo popolo.
Il Mapuche, quindi, ha subito il processo, iniziato nel 1861 e con picchi nel corso del ‘900, di sradicamento violento e profondo non solo dalla sua terra natale, dalla sua proprietà, attraverso l’odiosa pratica dei títulos de merced e del confino nelle reducciones; ma anche dalle proprie abitudini sociali comunitarie, il proprio stile di vita, la rappresentazione di sé. A questo bisogna aggiungere che a causa della globalizzazione culturale, delle mode new age e del mito de “l’indigeno buono”, negli ultimi decenni le comunità Mapuche ed i loro membri hanno subito una continua espropriazione culturale da parte di romanzieri, filmografi, imprenditori, antropologi e studiosi occidentali, che hanno fatto di questa cultura oggetto di studio e, più spesso, di mercato.
Non c’è da stupirsi dunque che anche noi, giovani europei pur venuti con la volontà di un approccio rispettoso, riceviamo, la stessa accoglienza tiepida e sospettosa che i Mapuche hanno imparato a riservare agli huinca o winkas, termine che in mapudungún può voler dire “conquistador” ma anche “ladro”.
Allo stesso modo il nostro progetto, prevedento la permanenza di un anno in questo paese, assumeva un significato straordinario in virtù del significativo momento storico di cambiamento che il paese stava per attraversare.
Abbiamo creduto che la continuità tra la feroce dittatura terminata nel 1990 e i governi della “Svolta democratica”, l’eredità rappresentata dal modello economico da essa imposta per le più recenti manovre del Cile liberale, l’enorme disuguaglianza sociale, la povertà, la discriminazione e la vulnerabilità dei gruppi sociali indigeni, fossero realtà evidenti non solo a noi, ma a tutto il popolo cileno. Lo stesso popolo che tre anni fa manifestò “el peor malestar civil desde el final de la dictadura de Pinochet” conquistandosi le piazze di Santiago e delle principali città del paese, pagando un caro prezzo (34 morti, più di 3.000 feriti, 10.000 arresti). Lo stesso popolo che in occasione del plebiscito nazionale dell’ottobre del 2020 aveva indicato con forza (78.28%) la direzione da prendere, chiedendo a gran voce una nuova costituzione che cancellasse quella, oggi vigente, promulgata dalla giunta militare nel 1980.
Conoscere e ritrovarci a fianco ai protagonisti di un cambiamento epocale non solo per il Cile, ma simbolicamente per tutta l’America Latina e forse per il mondo intero, quello preannunciato dalla campagna per l’approvazione della nuova proposta costituzionale, una delle più democratiche e progressiste mai scritte, pareva a noi un’occasione storica inestimabile.
Inutile dire che i risultati che arrivavano, nell’arco di poche ore, dalle urne di voto per il Plebiscito costituzionale del 4 settembre, sono stati per noi una doccia gelida, che ha spento buona parte del nostro entusiasmo e ci ha consegnato l’esigenza di un più concreto realismo.
Il risultato sembra parlare chiaro. La novità è stata rappresentata dal voto obbligatorio: tutti gli aventi diritto sono stati chiamati alle urne, pena una multa. Questa modalità ha allargato il suffragio in maniera mai vista: 13 milioni di cileni, l’85% del totale, si è recata a votare il 4 settembre. Di questi, 270 mila hanno lasciato la scheda bianca o hanno invalidato il voto. Quasi 5 milioni hanno votato Apruebo, mentre 8 milioni hanno scelto il Rechazo, ossia, il rifiuto e lo stralcio della nuova proposta costituzionale.
Ma da dove arrivava questa proposta? Da chi è stata scritta, in quale modo? E soprattutto, cosa ha portato milioni di cileni che mai avevano votato prima, a rifiutarla così categoricamente?
Torniamo indietro di tre anni: è la notte del 12 novembre 2019. Il presidente Piñera ed i membri del suo gabinetto si incontrano con il generale dei carabineros Mario Rozas, il capo della Defensa Nacional Javier Iturriaga e altri importanti militari. Da settimane Santiago è in preda a scontri violentissimi che hanno provocato numerosi morti e centinaia di feriti, anche tra le forze di polizia. L’argomento principale della riunione è se estendere o meno lo Stato di eccezione costituzionale per stato d’assedio: il governo può assumere la decisione politica di sospendere i diritti costituzionali in alcune zone per aumentare l’agibilità dei militari. Un espediente, quello della sospensione dei diritti costituzionali, previsto dalla costituzione di Pinochet, già attuato alla fine d’ottobre dello stesso anno, insieme al coprifuoco generale, per tentare di calmare le proteste. Non ha funzionato. I generali ed i ministri si accordano per non estendere lo stato d’eccezione, anche considerate le denunce di violazione dei diritti umani che stanno arrivando a centinaia, da dentro e fuori del Cile. Piñera è costretto a convocare una conferenza stampa in diretta per distendere gli animi ed evitare il peggio. Alle 22.30, di fronte al popolo cileno, promette un nuovo accordo nazionale basato su tre punti: pace, giustizia, ed una nuova Costituzione. Tre giorni più tardi, il 15 novembre, si concludono al congresso i negoziati per il nuovo “Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución” e viene annunciato il plebiscito nazionale.
Il plebiscito, seconda tappa
Dopo molti mesi di accesa campagna, nell’Ottobre del 2020 il 78% dei votanti dichiarò di Approvare il processo per fornire il Cile di un nuovo documento costituzionale e scelse quale tipo di organo avrebbe dovuto redigerlo: una Convezione costituzionale eletta direttamente.
In quell’occasione votarono sette milioni e mezzo di cileni, metà degli aventi diritto.
Seguì l’elezione dei membri della Convenzione: nel marzo del 2021, passato il momento critico della pandemia Covid19, vennero eletti in concomitanza con le elezioni comunali e regionali, i 155 membri dell’assemblea che avrebbe scritto la proposta costituzionale. Al suo interno erano rappresentati tutti i partiti del congresso, incluso le destre e gli indipendenti. Dato il regolamento di queste elezioni, metà dei membri della Convenzione erano donne. 17 scranni erano poi riservati a rappresentanti eletti tra i popoli originari: 7 ai Mapuche, 2 agli Aimara, 1 agli Rapanui, ai Quechua, agli Atacameños, ai Colla e così via. I lavori di quest’organo vennero inaugurati il 4 luglio 2021, giorno di assunzione dell’incarico di presidenta semestrale della commissione da parte di Elisa Loncon Antileo, accademica e politica mapuche, e durò fino al 4 luglio del 2022. Durante quest’anno, i costituenti hanno prodotto un documento che stupisce per il suo carattere aperto e paritario, ecologico e femminista. Riportiamo l’articolo 1 della Proposta, che ne annuncia in qualche modo la portata.
Artículo 1
1. Chile es un Estado social y democrático de derecho. Es plurinacional, intercultural, regional y ecológico.
2. Se constituye como una república solidaria. Su democracia es inclusiva y paritaria. Reconoce como valores intrínsecos e irrenunciables la dignidad, la libertad, la igualdad sustantiva de los seres humanos y su relación indisoluble con la naturaleza.
3. La protección y garantía de los derechos humanos individuales y colectivos son el fundamento del Estado y orientan toda su actividad. Es deber del Estado generar las condiciones necesarias y proveer los bienes y servicios para asegurar el igual goce de los derechos y la integración de las personas en la vida política, económica, social y cultural para su pleno desarrollo.
E con l’articolo 5, ineditamente rispetto a quanto non faccia la costituzione del 1980 tutt’ora vigente, riconosce quantomeno l’esistenza dei popoli originari ma non solo, la nuova proposta costituzionale sanciva anche diritti fondamentali, quali la libera determinazione, affermato anche dalla Dichiarazione ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni del 2007.
L’articolo 5 è solo uno fra i molti articoli dedicati ai diritti dei popoli originari, che vanno dal diritto all’identità culturale (art. 65), ai diritti alla consulta indigena (art. 66), all’autonomia e all’autogoverno (art. 34).
Non ci dilungheremo oltre nel descrivere quanto dirompente e rivoluzionario appaia ai nostri occhi il documento di questa carta. Trovate il testo intero a questo link
4 settembre 2022. La proposta per una nuova Costituzione che rechi più diritti sociali, spazio alla plurinazionalità rivendicata dai popoli originali, più parità tra i generi, leggi a difesa dell’ambiente e della natura è stata cestinata per sempre dopo la più partecipata tornata alle urne mai avvenuta in Cile. Una sconfitta dura per i comitati, per le associazioni civili, e certamente per il governo di Gabriel Boric. Una vittoria schiacciante per altri, per le destre certamente ma anche per buona parte del popolo cileno, che invade le piazze di Santiago, Valparaíso, Concepción per festeggiare. In mezzo allo smarrimento generale che regna nel fronte del “Apruebo” qualcuno promette che la lotta non è finita, che la costituzione va cambiata per il valore vincolante che ha il referendum del 2020. Boric esonera un paio di ministri, quelli che più si erano spesi nella campagna. Ora, il congresso ed i capi dei partiti dovranno trovare un accordo su chi dovrà scrivere di nuovo laproposta. Ma senza strafare stavolta, senza eccedere nel progressismo, senza far infuriare le frange più conservatrici, magari i cattolici, magari gli industriali, gli investitori americani, europei e del mondo capitalista.
Che cosa diavolo è successo?
L’analisi di questo risultato non può che partire da un punto fermo: la proposta costituzionale era davvero molto progressista. Era scritta da persone, crediamo, che si sono assunte la responsabilità e il diritto di sognare, e di farlo in grande. Alcuni degli articoli potrebbero davvero essere stati ritenuti controversi da una parte della società cilena meno incline a grandi cambiamenti. Ma di quali grandi cambiamenti stiamo parlando?
Gli argomenti principali erano, più o meno, l’incentivo alla partecipazione democratica, la parità di genere, la decentralizzazione (in uno dei paesi più centralizzati al mondo), l’ecologia ambientale e, in una certa misura, dei riconoscimenti economici, politici e legali ai popoli originari del Cile. Inoltre, e forse qui risiede la chiave di lettura più chiara, la Nuova costituzione si proponeva di mettere un serio bastone tra le ruote del sistema Neoliberista cileno. Un sistema che si è alimentato fin dagli anni ‘70, con le riforme dei Chicago boys, e che non ha mai smesso di essere il modus operandi delle élites politiche, di destra e di sinistra, che hanno deregolarizzato e liberalizzato quanto c’era da privatizzare, ripetendo il mantra del libero mercato caro a Milton Friedman, e che ha generato enormi disuguaglianze economiche in tutto il paese. Insomma, c’era chi s’aspettava che il Neoliberismo, nato in Cile, in Cile sarebbe morto. Così non è stato.
Un aspetto fondamentale per considerare le cause di questo risultato è certamente l’imponente campagna propagandistica che le forze per liberali, di centro-destra, destra ed estrema destra hanno dispiegato per affossare la bozza costituzionale. I dati raccolti dall’agenzia Ciper indicano, ad esempio, che diverse organizzazioni “fantasma”, non iscritte alla campagna ufficiale, hanno speso 120 milioni di dollari per soli avvisi nelle reti sociali, contro i 660 mila dollari spesi dalle organizzazioni pro-apruebo. Una vera e propria macchina del fango, considerato che la maggior parte di questi avvisi presentava un tono sensazionalistico, che mirava ad incutere paura. Inoltre, come segnalato precedentemente da COMI, non si contano gli importanti tabloid finanziari internazionali, l’Economist in testa, che hanno segnalato ai loro rispettabili lettori quanto la proposta fosse “eccessivamente progressista” oppure “a tratti eccentrica”.
Uno dei punti enigmatici di questo risultato è perché la maggioranza della popolazione mapuche abbia votato per il Rechazo. Secondo i dati del Servel (Servicio Electoral de Chile), nel Comune dell’Alto Bío-Bío, dove l’84,20% della popolazione è mapuche, il Rechazo ha raggiunto il 70,75%. Nelle dieci comunas con più alta percentuale di appartenenti al popolo originario (fra il 50 e l’80%), nella regione de La Araucanía, considerata la culla del popolo mapuche, il Rechazo si è attestato sempre al di sopra del 68%, superando la media nazionale.
Emblematico il caso di Tirúa, col 70,40% di popolazione mapuche, dove è stato eletto per cinque mandati di seguito il primo sindaco mapuche della storia del Cile, Adolfo Millabur Ñancuil, poi eletto anche alla Convención: anche lì il Rechazo ha trionfato col 77,25% dei voti.
Come si spiega tutto ciò? Sono state avanzate molte ipotesi, ma forse la più convincente è quella della ex Presidenta della Convención, nonché attivista e accademica mapuche Elisa Loncón. Quest’ultima in un’intervista a Interferencia ha affermato che la violenza statale – compreso “il ripudio della nostra lingua, cultura, identità, del vestito della donna mapuche” (di tutto ciò è stata personalmente vittima la Loncón) – “ha danneggiato l’auto-riconoscimento”.
Un altro fattore che ha causato questa mancanza di consapevolezza, secondo la Loncón, è “l’assedio dei mezzi di comunicazione alle comunità con un linguaggio violento”. Per cui, prosegue, “c’è anche blanqueamiento indígena (che si potrebbe tradurre con ‘voler assumere l’identità di un bianco, sbiancamento’, ndr), c’è chi non vuole essere mapuche, chi si fa cambiare il cognome, c’è auto-negazione”. I pregiudizi contro i Mapuche dovuti alla mentalità coloniale sarebbero quindi stati interiorizzati da una fetta non indifferente della stessa popolazione originaria. Del resto, come spiegarsi che spesso le classi più svantaggiate della popolazione negli ultimi decenni votino la destra e l’estrema destra in molti Paesi occidentali.
Tornando al nostro progetto e al territorio in cui operiamo, anche a Lanco (31% di popolazione mapuche) ha trionfato il Rechazo con il 69%. Qui la scarsa consapevolezza della cultura mapuche si evidenzia soprattutto fra i giovani. Secondo un’indagine condotta dal COMI nel 2018-19, il 90% degli abitanti di Lanco fra i 13 e i 19 anni dichiara di conoscere poco o superficialmente la cultura mapuche. Stiamo iniziando a rinforzare questi aspetti grazie ad esperti in varie attività, ad esempio una formazione sulla promozione, difesa ed esercizio dei diritti indigeni, diversi laboratori di scambio culturale ed artistico, ed il nostro programma radiofonico “Mari mari kom pu che”.
Sicuramente oggi c’è ancora più bisogno del nostro lavoro qui. Gli obiettivi del nostro progetto sembrano delle utopie ad alcuni di Malalhue con cui interagiamo ogni giorno, e certamente all’indomani della vittoria del Rechazo lo sembrano ancora di più. Ma noi siamo parte di un processo iniziato l’anno scorso e che impiegherà tempo a dare i suoi frutti: probabilmente noi ne vedremo una piccolissima parte. Il motto del COMI è “costruttori di speranza”. Quindi, non perderemo la speranza in un mondo più giusto, nonostante le sconfitte e le battute d’arresto di cui è disseminata la strada per raggiungerlo.
Dopo alcuni giorni di viaggio siamo giunti finalmente nella sede del nostro anno di servizio civile. Si tratta della città di Malalhue, nel comune di Lanco, regione di Los Ríos, nella macrozona Sur. Al nostro arrivo siamo stati splendidamente accolti dai rappresentanti di Medema, la Organización Mujeres Emprendedoras de Malalhue, nostro partner locale.
Il progetto a cui Comi e Medema collaborano mira al rafforzamento del ruolo dei giovani, sostenendo il loro percorso personale, identitario e professionale, attraverso la diffusione fra i giovani della storia e della cultura mapuche.
Nella regione sono presenti, come in tutto in Cile, gravi disuguaglianze che si evidenziano nel campo dell’educazione, della salute, dell’accesso ai servizi e alle risorse, con particolare svantaggio per i popoli originari. La preziosa eredità sociale e culturale mapuche è in pericolo a causa del modello di sviluppo imposto dalle politiche neoliberali cilene a partire dagli anni ‘70. La stessa Malalhue è circondata da pini ed eucalipti, piante non autoctone, monoculture in mano alle imprese forestali che alterano l’equilibrio ambientale della regione e che hanno ridotto notevolmente i terreni coltivabili. Da un’indagine portata avanti dal Comi nel 2018-19 è emerso che il 90% dei giovani del comune di Lanco fra i 13 ei 19 anni dichiara di conoscere poco o superficialmente la cultura Mapuche. Questa precaria condizione identitaria, unita alla forte disoccupazione ed emigrazione giovanile, è una delle cause principali dell’alto consumo di alcol e droga tra i giovani.
Nel nostro primo incontro con Medema abbiamo avuto modo di presentarci e di conoscere le donne contadine e imprenditrici che lo compongono, e nonché le loro famiglie. Il loro lavoro è tanto difficile quanto importante. Da anni, esse portano avanti un nuovo progetto di vita e di lavoro collettivo, nel solco della tradizione comunitaria mapuche.
Attraverso il programma di sviluppo rurale condividono momenti tipici della tradizione agraria indigena, in particolar modo per quanto riguarda la coltura dei fagioli e delle piante medicinali. Patrocinano ed organizzano fiere e mercati nei quali vendono prodotti agricoli, ma anche artigianali, come la lana intessuta con il telaio tradizionale. La vita agricola, salute ed il benessere fisico, la trasmissione della cultura ancestrale si mescolano nei progetti che queste donne portano avanti quotidianamente, lottando contro la disgregazione del proprio tessuto sociale.
Per noi civilisti Comi è un privilegio ed un’opportunità poter condividere una parte di questo percorso insieme a loro. Da parte nostra, con il supporto del nostro supervisore locale, Pilar Reuque, intendiamo innanzitutto fornire tutto l’aiuto possibile a Medema nei suoi progetti. Vogliamo proporre diverse attività nelle scuole del paese, ad esempio laboratori di teatro, di musica, di utilizzo della tecnologia, ed altre rivolte alla cittadinanza, come una radio comunitaria, tornei sportivi, presentazioni di libri ed eventi culturali.
Siamo appena arrivati, e stiamo iniziando a comprendere la complessità di una realtà così affascinante e piena di contraddizioni. Di fronte a noi ci sono tante sfide impegnative ma stimolanti. Abbiamo una grande voglia di metterci in gioco e soprattutto di apprendere.
Il primo appuntamento e banco di prova sarà martedì 2 Agosto, in occasione dell’inaugurazione del mercato in piazza Malalhue. Speriamo di riuscire a dare il nostro apporto in modo utile e costruttivo. Pewkayall!
Anche quest’anno per la raccolta fondi pasquale ci siamo affidati ad ADGENTES, Associazione di Promozione Sociale che dal 1994 riunisce soci e volontari intorno a un ideale comune: il commercio equo e solidale.
Vi proponiamo pertanto due sacchetti di ovetti di cioccolato, uno al latte e uno fondente, confezionati in bustine trasparenti biodegradabili e compostabili in polpa di cellulosa derivata dagli scarti di lavorazione di piante con ricrescita veloce. In questo modo si riduce l’utilizzo di plastica e di quelle confezioni che – dovendo evitare il contatto diretto tra cioccolato e imballaggio – richiedono l’ulteriore confezionamento dell’ovetto con la stagnola. Siamo stati quindi attenti all’ambiente.
E non finisce qui, per rendere la proposta ancora più accattivante, abbiamo racchiuso gli ovetti in deliziose bustine di carta, decorate a mano da Patrizia abile artigiana, che si è sbizzarrita realizzando motivi originali e festosi…
L’offerta minima per ciascuna confezione è di 15,00 euro.
Il ricavato, al netto delle spese sostenute per realizzarle, finanzierà le attività del COMI a favore dei bambini Talibé di Kaffrine.
I bambini Talibé sono bambini di età compresa tra i 3 e i 15 anni, provenienti principalmente da villaggi delle zone rurali del Senegal e dei vicini Mali, Gambia e Guinea Bissau, inviati dai loro genitori presso le daara, tradizionali scuole coraniche per l’apprendimento del Corano e dei precetti dell’Islam.
I bambini vivono qui in condizioni igienico-sanitarie precarie, lontani dall’affetto delle famiglie, costretti a mendicare per nutrirsi e pagare i loro maestri. Sono spesso vittime di violenza e non hanno diritti. La maggior parte non è registrata all’anagrafe e quindi di fatto “invisibile” alla comunità.
Nel foglio allegato alle confezioni troverete ulteriori e circostanziate informazioni su questa realtà.
Il ricavato, al netto delle spese sostenute per realizzarle, finanzierà le attività del COMI a favore dei bambini Talibé di Kaffrine. I bambini Talibé sono bambini di età compresa tra i 3 e i 15 anni, provenienti principalmente da villaggi delle zone rurali del Senegal e dei vicini Mali, Gambia e Guinea Bissau, inviati dai loro genitori presso le daara, tradizionali scuole coraniche per l’apprendimento del Corano e dei precetti dell’Islam. I bambini vivono qui in condizioni igienico-sanitarie precarie, lontani dall’affetto delle famiglie, costretti a mendicare per nutrirsi e pagare i loro maestri. Sono spesso vittime di violenza e non hanno diritti. La maggior parte non è registrata all’anagrafe e quindi di fatto “invisibile” alla comunità. Nel foglio allegato alle confezioni troverete ulteriori e circostanziate informazioni su questa realtà.
Per prenotare le confezioni telefonate al numero 06 70451061 il martedì e il giovedì dalle ore 10 alle ore 18.00 oppure scrivete una mail a segreteria@comiorg.it indicando le quantità richieste, la modalità di pagamento (contanti, bonifico bancario, c/c postale), e concordando il giorno del ritiro presso il COMI.
Trawün1 Mapuche a Malalhue: verso una nuova Costituzione plurinazionale
A Malalhue, Région de los rios, si è svolto venerdì 14 e sabato 15 gennaio il TrawünMapuche Constituyente Fütawillimapu2, con la presenza dei costituenti Victorino Antilef, Natividad Llanquileo, la machi3 Francisca Linconao e Alexis Caiguan, eletti nell’assemblea costituente nei seggi riservati per i pueblos originarios del Cile, le popolazioni di queste terre prima che vi arrivassero Colombo e gli europei.
Il processo costituente in Cile ha avuto inizio formalmente con il referendum del 25 ottobre 2020, sotto il governo di Sebastian Piñera, in carica fino all’11 marzo 2022, nel tentativo di disinnescare le forti proteste iniziate nell’ottobre 2019 e placatesi soltanto a causa della pandemia da covid a marzo 2020; queste contestazioni, denominate in Cile estallido social, hanno portato in piazza milioni di persone, dando vita a manifestazioni massive che sono partite da Santiago e si sono diffuse in tutto il Paese.
Il 15 e 16 maggio 2021 si è votato per scegliere le e i 155 membri dell’assemblea costituente, nella quale 17 seggi sono riservati alle popolazioni originarie; di questi ben sette seggi sono destinati al pueblo Mapuche, due al pueblo Aymara, uno per i pueblos diaguita, colla, atacameño, quechua, yagán, kawésqar, chango y rapa nui, mentre il pueblo afrodiscendente cileno è rimasto escluso. Oltre ai seggi riservati ai pueblos originarios, un altro passo storico nel loro riconoscimento è rappresentato dall’elezione come presidenta della Convención constitucional di Elisa Loncon, accademica, linguista e attivista mapuche. La costituente inoltre vede una forte maggioranza di forze di sinistra, molte delle quali apartitiche e indipendenti dagli storici partiti cileni.
La Costituzione che è in processo di scrittura e che dovrebbe essere approvata con un referendum ad agosto o settembre 2022, salvo rinvii, andrebbe a sostituire quella del 1980, emanata dal consiglio di Stato del regime militare di Pinochet e quindi sua eredità diretta, approvata con un referendum e successivamente modificata soltanto in alcune parti. L’intenzione delle forza di sinistra che partecipano alla Convención Constitucional è quella di cambiarlo todo, di cambiare completamente il sistema, creare un Cile che riconosca i diritti civili e sociali, con un’attenzione particolare ai temi della democratizzazione del sistema politico, della riduzione delle disuguaglianze, della salute, dell’educazione, del femminismo, dell’ambiente e dei diritti all’acqua.
Per quanto riguarda i pueblos e nazioni preesistenti allo stato cileno, l’inclusione nel processo di scrittura costituzionale passa per la creazione della Commissione sui Diritti dei Popoli indigeni e Plurinazionalità, incaricata di elaborare un “Documento base” fondato sul diritto proprio dei pueblos originarios e i trattati internazionali, come la Convenzione ILO 169 e la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni della Nazioni Unite, che garantiscono la partecipazione dei popoli originari nelle decisioni che possono riguardarli4. Per poter elaborare tale Documento base, sono stabiliti cinque principi fondamentali, in base ai quali si è stilata un catalogo di diritti da includere nella nuova Costituzione, se condivisi dai popoli originari.
Il primo è il principio di Plurinazionalità e libera determinazione dei popoli, e reclama la creazione di un Cile plurinazionale, che riconosca in Costituzione l’esistenza di diverse nazioni preesistenti allo Stato cileno con diritto all’autodeterminazione, sfidando di fatto la nozione occidentale dello Stato che si fonda sull’assunto dell’unità inscindibile di Stato e nazione.
Il secondo principio riguarda l’interculturalità e la decolonizzazione, e si propone di decolonizzare il pensiero per poter riconoscere, su un piano di uguaglianza e rispetto mutuo, le diverse forme di conoscenza, le differenze tra le culturale e le loro forme di concepire, vedere e conoscere il mondo, rendendo possibile un dialogo orizzontale che dia valore alle differenze.
Il terzo fondamento è il Buen Vivir, vivere bene, chiamato Kume Mongen dal pueblo Mapuche e Suma Qamaña dal pueblo Aymara. Si tratta della vita in pienezza, una forma di vivere in equilibrio e in comunità, nella quale gli essere umani e la natura si complementano; una convivenza pacifica nella quale la persona è in armonia con se stessa, con le altre persone e con la natura che la circonda.
Il quarto garantisce la cura e il rispetto dei diritti della natura, individuandola anche come soggetto di diritto, e riconosce i popoli originari come curtoni degli equilibri naturali nei loro territori ancestrali, oltre al vincolo spirituale dei popoli con i loro territori.
Il quinto principio stabilisce infine l’uguaglianza e la proibizione della discriminazione, ribandendo che le persone i popoli originari sono liberi e uguali a tutte le altre persone e popoli, e per questo non possono essere distriminati nell’esercizio dei loro diritti, in partucolare in relazione alla loro origine e identità indigena5.
Nonostante le speranze riposte nel processo costituente, ovviamente le forze politiche presenti nella Convención sono diverse, e ci sono forti timori riguardo alle reali possibilità di approvazione del testo attraverso il referendum, e diverse perplessità riguardo ai tempi limitati a disposizione delle e dei Costituenti e alla necessità della maggioranza dei due terzi in assemblea per poter inserire norme nel testo costituzionale, fattori che potrebbero disinnescare, almeno in parte, la radicalità delle istanze.
Il Trawün, che si è svolto in occasione delle Settimane territoriali, è stato organizzato da Victorino Antilef e da Carmen Caifil, candidati in coppia elettorale per garantire la parità di genere ed eletti come rappresentanti Mapuche della Région de los Ríos nella Costituente; Victorino Antilef non solo rappresenta le Regioni di Los Ríos, Los Lagos y Aysén nella Convenzione, ma è originario proprio dalla Comunità Mapuche de Antilhue, nella Comuna di Lanco. Lo scopo dell’incontro era da un lato quello di dialogare con le comunità Mapuche della Région de los Ríos sui principi, le istanze e i punti fondamentali da inserire nella nuova Costituzione, in modo da poterli proporre alle diverse Commissioni, dall’altro quello di incentivare le comunità stesse a proporre norme da inserire nel testo costituzionale, dal momento che per le popolazioni indigene sono previste modalità particolari di proposta6, con numeri molto inferiori rispetto alle normali iniziative di legge.
Tuttavia, le popolazioni originarie non hanno un’opinione omogenea rispetto al processo costituente e alla fiducia da dare alle istituzioni; durante il primo giorno di riunione sono sorti parecchi dubbi sull’opportunità per la popolazione Mapuche di partecipare a un’istanza convocata dallo Stato, insertandosi in un processo per il riconoscimento dei diritti dei pueblos originarios all’interno dello Stato cileno, di fatto fortificando lo stesso sistema statale responsabile di aver sottratto le terre al pueblo Mapuche. Da un lato, il popolo Mapuche ha un trattato ancora vigente con lo Stato cileno, il trattato di Tapihue del 1825, che riconosce le terre al Sud del Bio Bio come territorio Mapuche, dall’altro l’inserimento in una logica statale rischia di disinnescare le possibilità di autonomia e autogoverno delle popolazioni originarie.
Durante le due giornate di lavoro svoltesi a Malalhue, c’è stato un primo momento di discussione durante il quale questi temi, dubbi, perplessità, paure e critiche sono state evidenziate e dibattute, e un secondo momento in cui, alla luce anche delle discussioni precedenti, ci si è divisi in gruppi di lavoro e si è provato a fare delle proposte più concrete rispetto a ciò che si vuole inserire nella nuova Costituzione, al netto della sfiducia della sua efficacia reale per il pueblo Mapuche. Come ha rimarcato la machi Francisca Linconao, che è stata in carcere per la sua attività di defensora dei diritti umani e dei territori ancestrali Mapuche in opposizione all impresa Palermo, l’obiettivo ultimo è l’autonomia e l’autodeterminazione del pueblo Mapuche, nonché il recupero di tutte le terre ancestrali che sono state sottratte alle comunità; le singole persone, comunità o loffe7possono e devono scegliere se includere o meno il sostegno al processo istituzionale tra le strategie, o se proseguire la lotta con altre modalità e seguendo altri cammini.
Essere in Cile in questo momento storico di cambiamento è sicuramente un’opportunità per poter osservare da vicino il processo, sia dal punto di vista istituzionale sia per come viene recepito dalle persone del territorio, e per poter seguire da vicino come si evolverà il processo di scrittura della nuova Costituzione cilena.
1Riunione in cui si prendono decisioni, accordi
2Gran territorio del Sud in Mapudungun
3Figura spirituale Mapuche, colei che cura le malattie e comunica con gli spiriti
4Consulta_Indigena-Documento_Base-es.pdf
5Consulta_Indigena-Documento_Base-es.pdf
6Sono sufficienti infatti 3 comunità o 5 associazioni o 3 associazioni rappresentanti dei pueblos originarios o un cacicato riconosciuto o 120 persone appartenenti a pueblos originarios.
7É la forma basica di organizzazione sociale del pueblo mapuche, consistente in un clan familiare o lignaggio che riconosce l’autorità di un lonco.
Dopo due mesi e mezzo in Cile, durante i quali siamo stati accolti e inseriti con delicatezza e attenzione nel contesto di Malalhue, abbiamo iniziato ad individuare alcuni dei bisogni più evidenti e provare a proporre delle attività per affrontarli. Quello di Malalhue, Région de los rios, Chile, è un contesto complesso, nel quale è difficile cogliere immediatamente le dinamiche di relazione tra le persone e le famiglie, i rapporti con il mondo umano e non umano, il complesso tessuto di scambi materiali e immateriali, di doni e restituzioni che si configura in una trama di simboli da decifrare e interpretare costantemente.
In questo contesto così complesso, una delle prime questioni che abbiamo individuato è la scarsità di stimoli artistici e culturali, soprattutto per le persone più giovani che abitano la comunità, e l’assenza di spazi di aggregazione nei quali sia possibile creare comunità e relazioni, stimolare la creatività, pensare e agire collettivamente. Per questo abbiamo pensato di proporre tre percorsi, che si svilupperanno in primis durante il periodo estivo, ma che probabilmente proseguiranno per tutto l’anno, cercando di raggiungere persone di età e interessi diversi.
In primo luogo abbiamo deciso di proporre un centro estivo, per offrire ai bambini e alle bambine di Malalhue un contesto educativo e di divertimento, nel quale sperimentare modi diversi di stare insieme, distinte forme artistiche, attività di cooperazione e di espressione. Ogni mercoledì, nel tardo pomeriggio per poter sopravvivere al caldo intenso dell’estate malalhuina, ci troviamo nel campo di futbol per condividere un momento con bimbi e le bimbe, giocando, facendo laboratori di costruzione, stimolando le loro capacità espressive attraverso giochi teatrali e di espressione, raccontando storie per incentivare la loro creatività.
Un’altra attività che stiamo promuovendo è lo yoga, pensato per stimolare le persone a prendersi dei momenti per loro stesse, per equilibrarsi e prestare attenzione al proprio corpo e alla relazione del proprio corpo con la mente; ogni giovedì Angi guida le persone che partecipano agli incontri in diverse asana e in un rigenerante momento di rilassamento, lo yoga nidra. Un’attività come lo yoga offre la possibilità di prendersi cura del proprio corpo e della propria mente, e di alleviare i dolori derivanti dagli sforzi fisici quotidiani e intensi cui le persone di Malalhue sono abituate.
In ultimo, ogni giovedì organizziamo un cineforum nella piazza o nel centro comunitario di Malalhue, proiettando ogni volta un film che possa stimolare una riflessione o un dibattito con le persone. Per poter convogliare i diversi interessi ed età, alternando un film rivolto alle famiglie, ai bambini e alle bambine, con l’intento di offrire loro un momento di aggregazione e di divertimento comune, a uno rivolto ai ragazzi e alle ragazze, per provare a costruire con loro uno spazio di riflessione collettiva, un luogo in cui incontrarsi in modo nuovo e differente.
Tutte le attività hanno ricevuto una calda accoglienza da parte delle autorità locali, tanto che sono supportate e proposte in collaborazione con l’Area Delegazione Municipale di Malalhue del Comune di Lanco, ufficio introdotto recentemente dal neo sindaco Juan Rocha Aguilera.
Speriamo di poter proporre presto altre attività qui a Malalhue!
Siamo nella regione de Los Rios (384.837 abitanti), la 14° del Cile, situata al sud dell’Araucania, zona sottoposta a stato di emergenza per gli scontri verificatisi tra le autorità nazionali e i manifestanti Mapuche in lotta per il recupero delle loro terre ancestrali,. Al nord della regione troviamo Lanco, Comune che conta con una popolazione di 16.752 abitanti e che ospita il piccolo pueblo di Malalhue, che insieme ai suoi 4.559 abitanti, 3.061 urbani, 1.498 zone rurali, accoglie MEDEMA (Mujeres Emprendedoras de Malalhue), una delle più di 600 organizzazioni comunitarie registrate nella Segreteria Municipale. Fondata nel maggio del 2014, MEDEMA, partner locale di COMI (Cooperazione per il Mondo in Via di Sviluppo), è composta da donne Mapuche impegnate nello svolgimento di attività a sfondo socio culturale e agricolo al fine di promuovere l’artigianato e le tradizioni locali.
COMI coopera con Medema a Malahue dal 2015, e questo è il secondo anno nel quale le due organizzazioni collaborano per costruire progetti di sostegno all’agricoltura di comunità, progetto iniziato nel 2019, rivelatosi doppiamente importante e determinante in tempi di Covid 19.
In questo anno, un sostegno importante è venuto anche dall’Ente statale FOSIS (Fondo de Solidaridad e Inversión Social) che insieme a COMI ha reso possibile aumentare la superficie di terreno seminato – nel primo anno un’ettaro – ad un’ettaro e mezzo, acquistando fagioli e fertilizzante, oltre a costruire un cerco (recinto) intorno all’ettaro di campo seminato a fagioli, condizione indispensabile per poter coltivare in un luogo in cui gli animali selvatici rischierebbero di compromettere fortemente il raccolto. La scelta di appoggiare economicamente un’agricoltura locale e comunitaria è legata da un lato alla consapevolezza della fragilità dell’agricoltura di sussistenza, dall’altro alla volontà di sostenere la soberania alimentaria delle comunità e quindi, allo stesso tempo, incentivare il loro controllo sulla produzione e il consumo, la promozione dei prodotti locali e l’indipendenza rispetto ai mercati internazionali.
Il supporto non si limita però soltanto all’aspetto economico, ma si indirizza anche a un sostegno quotidiano e relazionale, a una partecipazione concreta ai progetti promossi nel pueblo di Malalhue e le comunità Mapuche che lo circondano, popolazione con una cosmovisione collettiva, comunitaria per essenza. Il primo giorno della semina di fagioli (siembra de porotos) è coincisa quest’anno anche con il primo giorno di servizio delle quattro civiliste e civilisti italiani che partecipano al progetto di servizio civile, nel quale saranno impegnati fino a giugno.
Sono stati giorni di immersione totale nella vita del campo e della comunità di persone che ci stava lavorando, di fatica intensa ma anche di contatto diretto con la Ñuke Mapu, la Madre Terra. Quattro giorni di durissimo lavoro in cui le donne di MEDEMA, con il supporto di contadine e contadini locali e delle volontarie e volontari italiani, hanno portato a compimento la semina nei campi di El Avellanito e di Panguinilahue Alto. Un ettaro e mezzo di terra e più di cento chili di una grande varietà di semi piantati senza il supporto di alcun macchinario. Dai solchi scavati alla semina dei porotos, passando per la fertilizzazione del suolo, tutto è stato realizzato interamente a mano. Un lavoro eccellente per la cui riuscita si è rivelato fondamentale il fortissimo spirito di lavoro collettivo che ha caratterizzato i giorni della siembra. Familiari e civilisti/e si sono riuniti per quattro giorni di lavoro, durante i quali non sono mancati intensi momenti di aggregazione e condivisione.
Nonostante ciò, Margarita, campesina co-fondatrice di MEDEMA, durante un’uscita al campo, spiega come l’apporto di tecnologie agricole avanzate sarebbe cruciale per migliorare la produttività, nonché per ridurre notevolmente il grande carico di lavoro umano. Insieme a lei, la presidente di MEDEMA, Maria, chiarisce che l’attività di semina di fagioli si è valorizzata molto di più all’incirca un anno fa in risposta alla crisi del COVID-19 e al blocco dei trasporti, quando la scarsità di generi alimentari ha iniziato a colpire fortemente la comunità di Malalhue. Iniziare a produrre fagioli in maggiori quantità, raccontano, sarebbe potuto essere d’aiuto all’autosufficienza e alla sicurezza alimentare non solo dei membri di MEDEMA e delle rispettive famiglie, ma anche del resto della comunità locale. Inoltre, incentivare la coltivazione di fagioli è uno strumento per promuovere, a livello cittadino, la consapevolezza rispetto ad un’alimentazione sana, riducendo il consumo di cibi processati, considerato una delle piaghe locali.
In risposta a tale necessità, pochi giorni fa, il Comune di Lanco, ha promosso l’apertura di un mercato ortofrutticolo, Mercadito de pequeños agricultores, gestito e fortemento voluto dalle associazioni locali El Huerto, con la sua presidenta Sonia Trabol, e Kiñe Wayiñ (Un solo gruppo in Mapudungun, la lingua Mapuche), che per oltre un anno si sono impegnate nella ricerca di un nuovo spazio che potesse valorizzare maggiormente i loro prodotti. Come hanno sottolineato i discorsi delle autorità locali e delle due organizzazioni partecipanti, questa iniziativa è un’occasione per recuperare il concetto emblematico che la unión hace la fuerza. Inoltre, Maria ci spiega come la cooperazione tra comunità sia fondamentale per il ripristino della soberania alimentaria, tema e obiettivo fondamentale per uno sviluppo sostenibile, in ottica locale e globale.
Un progetto piccolo, le cui prospettive rispecchiano la volontà di cercare soluzioni ad uno stile di consumo che troppo spesso causa non poche problematiche, dalla dipendenza economica allo scorretto apporto nutritivo.
Le potenzialità sono ampie e la semina è solo un primo passo verso un processo che necessita di tempo, risorse e impegno continuativo.
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