Comi

Cosa mi mancherà del Servizio Civile

Napoli,

24 giugno 2023

Solo tre giorni fa sono tornato da quest’incredibile esperienza che è stato il mio anno di servizio civile con COMI a Malalhue, in Cile. Mi sento in un caleidoscopio di emozioni che ancora devo metabolizzare. La cosa più bella e che più mi manca di quest’anno adesso è la relazione con le mie alunne e i miei alunni dei corsi di chitarra e di italiano. Ho in mente l’immagine nitida delle dita di una mia alunna mapuche, che all’inizio erano goffe, ma in poche settimane iniziarono quella danza sulle corde di chi sta prendendo confidenza con lo strumento. Mi stupiva come ascoltare un bambino che impara a parlare. Sembrava qualcosa di magico: una persona anche grazie a me aveva imparato a usare un linguaggio nuovo, in grado di trasmettere emozioni anche al di là delle barriere linguistiche e culturali. Mi sentivo come un artigiano, un fabbro dell’immateriale, come se insieme alle alunne stessi forgiando qualcosa sul momento. Mi mancano i loro occhi vispi e curiosi, le battute, le risate che ci facevamo insieme, le confidenze che a volte mi hanno fatto. Una delle cose che più mi facevano piacere era di essere riuscito a costruire con alcune di loro delle relazioni autentiche, come pure il fatto che, almeno loro in quel contesto, non mi vedessero come “l’italiano”, ma come Luigi. La stessa alunna di cui parlavo prima all’inizio diceva, fra il serio e il faceto, che loro, per il fatto di non saper ancora suonare, erano “analfabete”. Uno dei momenti più belli del laboratorio, invece, fu quando lei fece un discorso per dire che imparare a suonare le era servito in termini di autostima. Ora, quando si vedeva con dei suoi parenti, diceva, mostrava quello che aveva imparato e cantavano insieme. Pensai che quello era l’obiettivo ultimo del laboratorio, ancor di più dell’imparare a suonare, che eravamo riusciti a portare a termine: costruire speranza (che è il motto del COMI) e far sì che le persone coltivino degli interessi, amino qualcosa, credano di nuovo in se stesse nonostante le molte problematiche di quel contesto, carente, fra l’altro, di spazi di aggregazione. Spesso sono uscito dalle mie lezioni (sia di chitarra che di italiano) facendo letteralmente i salti di gioia. Ho scoperto che mi piace molto insegnare in questi contesti di educazione non formale, anche se forse non mi piacerebbe in una scuola. Mi hanno ringraziato e alcuni mi hanno fatto addirittura regali. Alcuni alunni, prima che io partissi, mi hanno invitato a casa propria o sono venuti a trovarci a casa nostra, salutandoci con affetto. Mi hanno dato le prime soddisfazioni professionali della mia vita e non li dimenticherò mai. Mi sto sentendo con alcuni di loro. C’è chi mi chiede ad esempio: “Com’è l’Italia?”. Mi piace questo candore e questa curiosità di fronte alla mia diversità. Una volta delle mie allieve mi domandarono: “Ma tu quando sei venuto hai visto l’oceano dall’aereo?” E mi guardavano stupite come se venissi da un altro pianeta, stessa reazione di chi a volte mi chiedeva da dove venissi, per poi esclamare: “Dall’Italia?! Wow… e che ci fai qui in Cile?”. La condizione di straniero è a volte difficile, ma anche affascinante e dà una prospettiva per certi versi privilegiata sul contesto in cui si è inseriti: se da un lato all’inizio l’outsider spesso non conosce le dinamiche locali e si trova spaesato, dall’altro non è abituato alle contraddizioni di quella società e, proprio per questo, a volte può notarle e decostruirle meglio.

Mi mancherà anche avere la bella sorpresa di visite inaspettate da ragazzi che stavamo conoscendo (lì spesso la gente non avvisa prima di passare da casa di un amico o di un parente) e di trovarci a parlare e a scherzare con loro la sera fuori al giardino. Mi mancherà lavorare al Centro Comunitario e ascoltare le canzoni di Víctor Jara in sottofondo e mi mancheranno degli incontri casuali, come quello che ebbi con due impiegati della nettezza urbana, che, riconosciutomi come “l’italiano”, mi salutarono dicendo: “¡Hola Italia!”  e, dopo qualche chiacchiera e battuta, mi dissero: “¡Bienvenido a nuestro país!” (Benvenuto nel nostro Paese!). Piccole cose di una quotidianità fuori dagli schemi, tanto che varie persone in Italia non hanno capito assolutamente il senso di quello che sono andato a fare in Cile. Questa non convenzionalità e l’incontro fra mondi diversi mi stimolano e mi affascinano enormemente. Tale incontro non è sempre innocente o roseo e porta con sé le sue contraddizioni, ma anche una bella dose di leggerezza e uno sguardo ironico sul mondo.

Luigi Donadio

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

Verso l’utopia dell’interculturalità

La differenza tra multiculturalità e interculturalità fa parte dell’ABC degli studi sociali, si apprende il primo giorno di lezione e ci accompagna lungo tutto il nostro percorso professionale. Questi due concetti sono così importanti da essersi diffusi dall’ambito accademico a quello quotidiano attraverso i mass media: è comune leggerli o ascoltarli nelle notizie legate alla questione dell’immigrazione, ma è facile confonderli o addirittura pensare che significhino la stessa cosa, dato che in molte occasioni questi media ne danno per scontato il significato, causando più disinformazione che informazione.

Per chiarire i dubbi, secondo il dizionario CEAR (Commissione spagnola per l’aiuto al rifugiato), il multiculturalismo si riferisce alla presenza nello stesso luogo di culture diverse che non sono correlate tra loro o che possono o meno avere un rapporto di coesistenza. Mentre secondo l’autore Carlos Giménez Romero, “l’interculturalità è un rapporto di armonia tra le culture; in altre parole, un rapporto di scambio positivo e di convivenza sociale tra attori culturalmente differenziati”.

Sulla base di queste definizioni, possiamo affermare che il Cile in generale e Malalhue in particolare sono un territorio multiculturale, dove la cultura cilena egemonica1 coesiste con culture come quella peruviana, venezuelana, boliviana, haitiana o mapuche. Quest’ultima, la cultura mapuche, è fortemente rappresentata dalla quantità di popolazione presente nel territorio: fino al 31,83% della popolazione della comuna di Lanco si dichiara mapuche2. Tuttavia, è una cultura che rischia fortemente di scomparire a causa della lunga storia di persecuzione, repressione e assimilazione forzata di questo popolo indigeno. Tanto che ci sono mapuche che ritengono che prima di entrare nell’interculturalità si deve recuperare e rieducare in tutto ciò che riguarda la cosmovisione mapuche, per evitare il rischio di accettazione e assimilazione di un’altra cultura dovuta all’ignoranza della propria. Nelle parole di Victorino Antilef Ñanco, ex membro della Commissione costituzionale e residente del Lof Mapu di Antilhue,

“Quello che bisogna fare è avviare, indurre un processo interno affinché la gente torni a valorizzare e praticare antichi saperi espressi in pratiche come la tessitura, l’oreficeria, la creta, i telai, il cibo, il che è un sistema abbastanza completo, sviluppato in ambiente Mapunche.”

 

 

La nostra ONG COMI vuole realizzare questa utopia che sembra essere l’interculturalità a Malalhue, ed è con questo scopo che realizziamo diverse attività, come la scuola di lingua italiana o l’evento Ethno Chile.

A seguito dell’incalzante richiesta della popolazione e grazie all’aiuto della nostra responsabile della sicurezza, nonché insegnante di storia del Liceo “República de Brasil”, Diosa del Rosario Villaroel Pineda, la scorsa settimana è stata inaugurata la scuola di italiano dopo che, con nostra sorpresa, si erano riempiti tutti i posti in due giorni dalla pubblicazione dell’attività.

La lezione inizia ogni mercoledì alle 18:30 nella biblioteca comunale “Gabriela Mistral”, dove gli studenti imparano le basi della lingua italiana, come i saluti e il vocabolario quotidiano, in un contesto di educazione non formale che funge da pretesto per svolgere un scambio culturale e linguistico tra le persone partecipanti.

Fra queste attività, va notato quanto sia stato importante per noi promuovere l’incontro internazionale di musica popolare Ethno Chile 2023 a Malalhue. Ethno è il programma dell’ONG Jeunesses Musicales International per musica folclorica, tradizionale e world music. Fondata nel 1990, si rivolge a giovani musicisti con la missione di far rivivere e mantenere vivo il patrimonio culturale mondiale. Al centro di Ethno c’è il suo approccio democratico di apprendimento tra pari in base al quale i giovani si insegnano a vicenda la musica dei propri paesi e culture. È una pedagogia non formale che si è affinata negli ultimi 33 anni, abbracciando i principi del dialogo e della comprensione interculturale.

Per questo evento abbiamo messo in contatto il gruppo di musicisti Ethno Chile (provenienti da Germania, Austria, Svezia, Francia, Italia, Estonia, Giappone, USA, Brasile e Cile) con il gruppo locale di musica mapuche Meli Kvrvf. Hanno trascorso la giornata condividendo e imparando insieme una canzone del gruppo e integrando gli strumenti tradizionali mapuche al resto dell’orchestra attraverso questa pedagogia non formale e democratica.

Guillermo Neftalí Jaque Calfuleo, membro del gruppo Meli Kvrvf nonché educatore tradizionale e artista culturale, del Lof Külche mapu, Puquiñe, nella comuna di Lanco, ci ha raccontato come ha vissuto l’esperienza:

“L’interazione è stata molto piacevole, molto intima, sincera per così dire. Siamo stati in grado di condividere, nonostante le barriere linguistiche, ciò che è la musica mapuche, il tema e presentare gli strumenti.

È stato molto arricchente potersi liberare dai pregiudizi in un’esperienza di condivisione con altre persone di altri luoghi e culture.

…non ci aspettavamo l’invito al concerto di chiusura a Villarrica e lo abbiamo accolto con grande gioia, è stata un’esperienza che non capita tutti i giorni, soprattutto per persone mapuche che fanno musica mapuche più tradizionale, una bellissima opportunità che resterà nella memoria per sempre.”

Come abbiamo accennato all’inizio, potrebbe sembrare che raggiungere l’interculturalità sia un’impresa impossibile, e, quand’anche fosse possibile, non è qualcosa che si ottiene in due giorni; deve essere promossa dallo Stato attraverso leggi, piani e programmi che diventino efficaci e approdino nella realtà di scuole, aziende, comuni, comunità ecc. E mentre tutto questo arriva, ci auguriamo che le nostre attività, se non realizzano quella comunione culturale, facciano presente la realtà multiculturale del territorio e ci avvicinino a quell’obiettivo a lungo termine che è l’interculturalità.

 

 

Manuel Pastor Tomás

Volontario COMI in Cile

 

 

 

1L’egemonia culturale si riferisce al dominio mantenuto tramite mezzi ideologici o culturali. Di solito si ottiene attraverso le istituzioni sociali, che consentono a chi detiene il potere di influenzare fortemente i valori, le norme, le idee, le aspettative, la visione del mondo e il comportamento del resto della società.

 

2Fonte: Censos de Población y Vivienda (Censimenti di Popolazione e Abitazione) 2002 e 2017, Instituto Nacional de Estadísticas (INE).

Riparte “Odiare non è uno sport”

Campioni e campionesse, società sportive, associazioni, 
scuole e studenti uniti per dire no all’hate speech nello sport

Riparte la campagna

ODIARE NON E’ UNO SPORT

Un progetto per prevenire e contrastare i messaggi d’odio online in ambito sportivo

Secondo la ricerca di Coder (UniTo) del 2020, sulle pagine Fb delle 5 principali testate sportive nazionali tre post su quattro ricevono commenti di hate speech

Veicolo di crescita e confronto, palestra di vita, lo sport  coinvolge milioni di ragazzi e ragazze nel nostro paese ed è un importante terreno di inclusione e aggregazione sociale. Allo stesso tempo però lo sport è divenuto anche, e sempre più, terreno di scontri, discorsi e gesti d’odio, che nella dimensione digitale si potenziano e diffondono in maniera esponenziale.

È così che, anche grazie all’aiuto di diversi campioni azzurri, in occasione della Giornata Mondiale dello Sport, riprende nuovo slancio la campagna #Odiarenoneunosport, sostenuta dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e promossa dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo (Cvcs), con un fitta rete di partners su tutto il territorio nazionale.

Avviata nel 2020 con un primo studio del fenomeno affidato all’Università di Torino (Centro Coder) che ha elaborato il primo Barometro dell’Odio nello sport, monitorando i principali social media e le testate giornalistiche sportive, la campagna ha raccolto le testimonianze di campioni dello sport azzurro come Igor Cassina, Paola Egonu, Stefano Oppo, Alessia Maurelli, Frank Chamizo, Valeria Straneo, Angela Carini e tanti altri. Al loro fianco le straordinarie storie di  inclusione sociale avvenute attraverso lo sport sul territorio italiano e l’adesione spontanea di decine di sportivi, professionisti e dilettanti, associazioni, scuole o semplici cittadini che sostengono la campagna ritraendosi con la scritta Odiare non è uno sport . Qui la Gallery

 

Riparte oggi con nuovo slancio non solo la campagna di sensibilizzazione, che si svolgerà contestualmente alla delicata fase della preparazione Olimpica degli Azzurri verso Parigi 2024, ma anche un importante progetto di prevenzione e contrasto all’hate speech. Progetto che porterà alla realizzazione del secondo Barometro dell’Odio nello sport e al coinvolgimento in percorsi formativi interattivi e multimediali sulle dinamiche dell’odio nello sport 600 docenti di scuole secondarie, 540 allenatori sportivi del target giovanile, 300 dirigenti di società/ASD, 2200 studenti di scuole secondarie di I e II grado e 900 giovani sportivi della fascia 11-18.

Saranno costituite anche 9 squadre territoriali di attivisti digitali  anti-odio, composte da studenti e giovani coinvolti nelle attività di formazione, che condurranno azioni di contrasto all’hate speech sportivo in chat e social frequentati dai giovani, attivando reazioni e risposte di valenza dissuasiva ed educativa.

Tutti insieme, con nuovo entusiasmo e determinazione e un obiettivo comune: dire no all’odio nello sport e nella vita.

Per interviste e contatti: ufficiostampa@cvcs.it, 3469546862

Il progetto è sostenuto dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo e promosso dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo, in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (ADP, Aspem. CeLIM, COMI, COPE, LVIA, Progettomondo),  gli enti di promozione sportiva CSI e Libertas, Informatici senza Frontiere e Impactskills srl per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e due Atenei (UniTo e UniTs) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica

Semi di speranza

Semi di speranza

Uno, due, tre e quattro. Un piede davanti all’altro, senza perdere l’equilibrio, e poi si ricomincia. Uno, due, tre e quattro. I semi di fagioli scivolano dalle nostre mani nel solco tracciato dall’aratro. Poi li pestiamo a piedi nudi sulla terra, facendo attenzione a non uscire dai solchi. “Togliti le scarpe!” mi aveva detto Marta, che coglie ogni occasione possibile per camminare nella natura a piedi scalzi. Io, all’inizio un po’ titubante, le avevo tenute, ma poi le diedi ragione: si riempivano di terra e non avevo abbastanza controllo sul movimento del piede. Quando le tolsi, il contatto con la terra soffice e umida, appena rimestata dall’aratro, fu una sensazione che non volevo più lasciare, il contatto quasi inebriante con la Ñuke Mapu (come chiamano i Mapuche la Madre Terra), come se risvegliasse in me qualcosa di ancestrale che non so se avessi mai conosciuto. “Il camminare ti entra da terra” diceva una canzone che cantavamo sempre agli scout. Sotto un sole cocente, fra gli odori della campagna sureña (del sud del Cile), compivamo il gesto imperituro della semina, ripetendolo a ogni passo come una sorta di meditazione, di mantra.

 

Noi volontari – Alvise, Manuel, Marta e io – in servizio civile con l’ONG COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo) ci sentivamo onorati di essere stati invitati dal nostro partner locale, Medema (Mujeres Emprendedoras de Malalhue), a prendere parte alla semina dei fagioli, che con molti sacrifici, scarsi mezzi e un magro ricavo, da tre anni porta avanti. Per noi, cresciuti in grandi città, fu un’esperienza impagabile. Per Manuel e Marta era la seconda volta che volentieri prendevano parte a questo evento comunitario, che rientra nella parte agricola del nostro progetto. Quest’ultimo intende sostenere la minoranza mapuche di Malalhue, nel sud del Cile, dove ci troviamo da luglio scorso. I Mapuche sono un popolo indigeno che vive nelle zone meridionali del Cile e dell’Argentina e che, secondo l’Instituto Nacional de Estadísticas (INE), rappresenta il 10% della popolazione cilena e il 31% di quella della comuna di Lanco, in cui ricade Malalhue. Il terreno che stavamo seminando si trova all’interno della Comunità Indigena rurale di Panguinilahue Alto, nelle vicinanze di Malalhue. Il progetto di servizio civile in cui siamo impegnati intende supportare la minoranza mapuche locale tramite la valorizzazione del patrimonio culturale indigeno e il sostegno ai giovani locali in un percorso di formazione culturale e artistico, per metterli in condizione di programmare concretamente il proprio progetto di vita personale e professionale. Fra le varie attività previste rientra l’aiuto nel lavoro agricolo a Medema, che è un’organizzazione al femminile di contadine e artigiane, prevalentemente mapuche.

“Cantaci una canzone di Violeta Parra!” mi disse Marta. “Para olvidarme de ti voy a cultivar la tierra” intonai, cantando l’inizio de La jardinera, mentre continuavamo a seminare, per poi continuare con El guillatún e Gracias a la vida.

La parte della semina (ngan, come si dice in mapunzungun, la lingua dei Mapuche), che preferivamo era quella in cui bisognava coprire ogni solco, con i piedi che si immergevano nella nuda terra e dai due cumuli laterali la portavano al centro. “È come accarezzare la terra!” dissi, al che Marta annuì sorridendo con i suoi occhi verdi.

In un momento di pausa, mentre chiacchierava con le donne di Medema, si girò distratta dal sonoro russare di Alvise e vide lui, Manuel e me distesi lunghi lunghi per terra, sprofondati in una “siesta a pierna suelta”, come dicono in spagnolo, un sonno imperturbabile (“a gamba sciolta”, letteralmente). Eccoci là, tre cittadini catapultati nel lavoro dei campi! Personalmente era proprio per questo che avevo voglia di sporcarmi le mani, di lavorare sotto al sole cocente: perché il luogo in cui si è nati e cresciuti non può dire l’ultima parola su ciò che siamo, che invece è dato dalle nostre scelte, dalle sfide che accettiamo – nonostante le difficoltà che comportano –, come quella di vivere per un anno dall’altra parte del mondo, in una realtà completamente diversa da quella a cui eravamo abituati. Ci siamo rifocillati con acqua e farina tostata, un alimento diffuso in questa zona ed apprezzato perché disseta ed è nutriente. Dopo la nostra siesta, abbiamo ascoltato di credenze ancestrali mapuche sulla semina: ad esempio, non bisogna seminare il mais quando si ha fame, altrimenti i chicchi cresceranno piccoli e secchi. Del resto, la terra ha un’importanza fondamentale nella cosmovisione e nella spiritualità dei Mapuche, tanto che il loro stesso appellativo deriva da mapu, “terra”, e che, “gente”, e viene tradotto come “gente della terra”. In un territorio in cui quest’ultima viene spesso inquinata o prosciugata dalle aziende forestali, e in cui l’uomo molte volte intrattiene con essa solo legami commerciali, i Mapuche continuano ad avere con la terra un profondo legame spirituale e sentono di appartenerle piuttosto che esserne i proprietari. Aveva detto bene Marta: quella semina era un’esperienza spirituale. Perciò, speriamo che  quelli che abbiamo piantato a Panguinilahue Alto, in quel giorno assolato di novembre, siano semi di resistenza. Ma, ancora di più, il nostro auspicio è che siano semi di speranza, parafrasando il motto del COMI “costruttori di speranza”.

Appena finimmo eravamo quasi esultanti: ci guardammo soddisfatti, fieri. Avevamo condiviso tutto di quella giornata: la fatica, il sudore, il cibo, le conversazioni, le risate. Le donne di Medema si misero distese all’ombra al bordo del campo, a riposare guardando il frutto del loro lavoro. Facemmo altrettanto.

 

Dato che siamo un’ONG italiana, per pranzo non poteva mancare una magnifica insalata di pasta, che Alvise cucinò per tutti. Quando andammo a mangiare avevamo tutti le mani (e i piedi) pieni di terra. Tutti si sciacquavano soltanto le mani, senza usare sapone. Vedendo che io non facevo altrettanto, una delle donne di Medema mi chiese se volessi sciacquarmele, ma io domandai se ci fosse del sapone. “È terra, quando morirai sarai terra anche tu” fu la sua lapidaria risposta. Sul momento ero stupito e perplesso e andai comunque di nascosto a lavarmi le mani in bagno. Ma ora, pensandoci, lo collego al profondo legame che hanno i Mapuche con la Ñuke Mapu. Mi rendo conto, quindi, che anche quest’episodio fa parte delle differenze culturali che sono il nostro pane quotidiano qui, così difficili da gestire a viverle sulla propria pelle, eppure così affascinanti. Solo ora, ripensandoci, mi rendo conto di quello che questi piccoli dettagli quotidiani significano – se noi siamo in grado di dare loro questo significato –, cioè quella sensazione di guardare il mondo a testa in giù, con occhi finalmente nuovi, che sono usciti da quella bolla di Occidente in cui siamo nati e cresciuti e che sembrava un destino ineluttabile. È una sensazione di freschezza, eccitazione, curiosità. Una sensazione che mi fa sentire vivo.  

 

 

Luigi Donadio,

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

 

21 febbraio 2023

Le attività musicali del COMI a Malalhue, Cile (parte 2)

Non solo chitarra

Di Luigi Donadio

Fra i musicisti cileni di fama internazionale non si possono non menzionare anche gli Inti Illimani. Suonare le loro canzoni qui in Cile è per me un grande onore e un’emozione unica. Ricordo quando andai a sentirli a Bologna a marzo scorso: tutta la platea gridava come una sola voce, in un crescendo epico: “El pueblo unido jamás será vencido!”. Il loro tour in Italia, dal nome “Vale la pena”, era incentrato sui diritti umani, in particolare dei migranti, e supportava le attività di Amnesty International Italia. Da quando ero bambino ascolto le canzoni di questo gruppo, che è come un ponte fra l’Italia e il Cile ed ha contribuito a diffondere la storia cilena anche oltreoceano: gli entusiasmi del periodo di Allende, poi il golpe e la tragedia della dittatura di Pinochet – in quegli anni si rifugiarono in Italia, dove divennero famosi durante la contestazione giovanile –, fino ad arrivare alle proteste dell’Estallido social del 2019, durante le quali è stata registrata, a Santiago del Cile, la canzone che ha dato il nome al tour. 

Oltre alla chitarra, le attività culturali del COMI si avvalgono della presenza di musicisti locali, invitati ad arricchire le altre iniziative, passando anche attraverso il programma radiofonico che gestiamo due volte a settimana nell’emittente locale Radio Comunitaria e Culturale di Malalhue, che trasmette sulla frequenza 107.5 FM e online, quindi raggiungibile anche aldilà delle frontiere locali e nazionali. Così, abbiamo intervistato nel nostro programma “Mari Mari Kom Pu Che1” Guillermo Jaque Calfuleo, musicista, liutaio originario della comunità mapuche di Puquiñe, ideatore del gruppo musicale “Meli Kvrvf” (che in mapuzungun vuol dire “Quattro Venti”), nonché riconosciuto referente della cultura mapuche. Infatti, con Jaque, si è tenuta una formazione sulla cosmovisione mapuche e i diritti indigeni, a cui hanno partecipato soprattutto donne, le quali fanno parte di MEDEMA, il nostro partner locale. Insieme anche a noi in varie occasioni abbiamo riflettuto su argomenti come la plurinazionalità, l’interculturalità, la Natura, il razzismo e sul concetto tanto caro ai popoli indigeni del Buen Vivir. 

Guillermo Jaque Calfuleo mentre suona una trutruka costruita da lui stesso. Il flauto che pende dal suo collo è una pifilka (dal mapudungun pifüllka). Entrambi sono strumenti tipici della musica mapuche.

Per sottolineare ancora l’importanza della cultura locale e affiancare sia Guillermo che le donne di MEDEMA in questa interessante esperienza formativa, è stata invitata Paola Linconao, docente mapuche in una scuola di Temuco, ma anche artista, compositrice e cantante del gruppo Inche2, il quale fonde la musica mapuche con il rock. Paola è stata invitata come motivatrice, essendo molto attiva e riconosciuta per la sua metodologia di insegnamento e promozione della cultura mapuche nelle aule scolastiche. A livello musicale ha un suo stile personale e i suoi testi sono fedeli al vissuto mapuche, proprio come quelli di Violeta Parra, per denunciare la difficile vita del popolo originario dall’arrivo del cosiddetto sviluppo, che, per dirla con le parole di Eduardo Galeano, “è un viaggio con più naufraghi che naviganti”.   

Un terzo e molto interessante incontro con i valori locali è stato introdotto dall’intervista radiofonica a Faumelisa Manquepillán, cantautrice, poetessa e scultrice. Anche lei originaria della comunità di Puquiñe e dedita alla trasmissione della cultura mapuche, è stata recentemente insignita del Premio delle Arti e delle Culture della Regione di Los Ríos 2022, insieme a Nerys Mora, apprezzata docente e agente culturale di Malalhue, nonché fondatrice del museo comunitario malalhuino “Despierta Hermano”, il quale promuove la conoscenza della cultura locale e, quindi, anche mapuche. 

Museo comunitario “Despierta Hermano”, Malalhue, Lanco.

Oltre alle interviste, lo spazio radiofonico da noi gestito trasmette musica territoriale e musica mapuche. Quest’ultima fatica a raggiungere i circuiti commerciali e a trovare spazio nelle emittenti più importanti. Il nostro compito, infatti, è quello di rinforzare il territorio, i suoi valori e la sua identità, unica e irrepetibile. 

Stiamo tenendo vari laboratori gratuiti: oltre a quello di musica, ne abbiamo uno di danze popolari europee con Marta e uno di scalata con Manuel. Prima delle feste di fine anno ci aspetta il primo saggio di danza e di chitarra, dove vedremo, per la prima volta, le abilità artistiche dei nostri allievi, rinforzate da noi nella veste di insegnanti.

Anche noi civilisti stiamo avendo modo di conoscere e apprezzare in prima persona la musica mapuche, la musica ancestrale, o i suoni della terra, come viene anche chiamata. A riguardo non si può non menzionare il kultrún, un grande e largo tamburo, considerato sacro perché è lo strumento musicale per eccellenza dello sciamanesimo mapuche. Secondo il Museo di Arte Precolombiana di Santiago, il kultrún è “un tamburo di legno (…) elaborato a partire dal tronco di un albero che rappresenta il potere della terra. Ogni machi lo decora secondo una struttura generale, ma con un proprio disegno e lo suona a suo modo. La superficie di cuoio è solcata da linee che dividono il mondo in quattro parti. Al centro c’è il luogo in cui vive la machi e intorno sono raffigurati i poteri ancestrali che la assistono. L’interno del kultrún contiene diversi oggetti magici, nonché la voce della machi da lei introdotta al momento della costruzione dello strumento. Lo strumento si suona vicino all’orecchio affinché la sua ricca sonorità riempia la percezione e faciliti la trance.”

Tornando a Violeta Parra, abbiamo un sogno, di renderle un omaggio, attraverso la presentazione del libro Violeta Parra en el Wallmapu. Su encuentro con el canto mapuche3, pubblicato nel 2017 e scritto da Paula Miranda, Allison Ramay ed Elisa Loncón. Quest’ultima è accademica, linguista mapuche e figura riconosciuta a livello internazionale per il suo ruolo di Presidente dell’Assemblea Costituente, la quale ha redatto la proposta di una nuova costituzione, rifiutata dai cileni lo scorso settembre. Il libro trae origine dalla scoperta da parte delle autrici di quattro nastri fonografici, in cui Violeta intervistava sette ülkantufe (cantori), un cantor e sei cantoras mapuche, e registrava 39 canti in mapuzungun, interpretati dai loro stessi cultori. La cantautrice cilena, infatti, visse per molto tempo a stretto contatto con il popolo mapuche e studiò a fondo la sua cultura (fu anche assunta dall’Università di Concepción per condurre ricerche etnomusicologiche), come quando, ad esempio, intervistò ogni giorno per un mese la machi (sciamana) María Painen Cotaro, che avrebbe avuto un’influenza decisiva sul lavoro creativo dell’artista, come sostiene Miranda.

Fra gli artisti cileni di fama internazionale che hanno dato voce a questi suoni ancestrali c’è anche lo stesso Pablo Neruda. In un suo intervento al Teatro Comunale di Temuco, così si esprimeva il grande poeta: «Sono arrivato ancora una volta a Temuco. (…). Tutto il popolo è venuto allo stadio per ascoltare la mia poesia. Sono salito sul palco mentre il pubblico mi salutava.

Poi ho sentito calare il silenzio e dentro quel silenzio ho sentito sorgere la più strana, la più primordiale, la più antica, la più aspra musica del pianeta. Erano gli araucani4 che suonavano i loro strumenti e cantavano per me le loro dolorose melodie. 

Mi commuoveva ancora di più. I miei occhi si annebbiarono, mentre i loro vecchi tamburi di cuoio e i loro giganteschi flauti suonavano su una scala anteriore a ogni musica. Sorda e acuta allo stesso tempo, monotona e struggente. Era come la voce della pioggia, combattuta dal vento, o il gemito di un animale antico, martirizzato sotto la terra».

In effetti, Neruda, come Violeta Parra, per la loro capacità interpretativa, sono artisti tanto amati dagli stessi Mapuche, come Elicura Chihuailaf, primo scrittore mapuche a vincere il Premio Nazionale di Letteratura 2020, che così riflette su Neruda: «In mezzo alla confusione e allo specchio appannato, presuntamente europeo, dei cileni, Neruda ha intravisto il nostro Blu, quello della nostra vita, il colore che ci abita, il colore del mondo da cui veniamo e dove stiamo andando. L’opera di Pablo Neruda è una delle possibilità di dialogo tra i mapuche e i cileni, per cominciare a incontrarci, passo a passo, nelle nostre differenze».

È questo incontro che come Caschi Bianchi5 vogliamo favorire, anche attraverso la musica e le arti. Noi continuiamo giorno dopo giorno a dare il nostro piccolo contributo a questo processo, mentre continuiamo a conoscere l’affascinante e indomito popolo mapuche.

Luigi Donadio
Casco Bianco COMI in Cile

1 Mari mari kom pu che significa in mapuzungun (la lingua dei Mapuche) “salve a tutte e tutti” ed è un saluto che ci si scambia di mattina o di pomeriggio. È interessante notare che letteralmente mari mari vuol dire “dieci dieci”. Infatti, a volte i Mapuche si salutano dandosi entrambe le mani. Il dieci sta per il numero delle dita: ognuno ne ha dieci (da cui la ripetizione), per cui le due persone, salutandosi così, si riconoscono su un piano di parità e di rispetto. 

2 Inche in mapuzungun significa “io”.

3 Il titolo del testo, non disponibile in italiano, tradotto, sarebbe, “Violeta Parra nel Wallmapu. Il suo incontro con il canto mapuche”. Il Wallmapu è il nome in mapudungun con cui i Mapuche indicano il loro territorio, che si estende fra il sud del Cile e dell’Argentina.

4 Un altro appellativo dei Mapuche.

5 Prendendo in prestito il nome da contingenti non armati dell’ONU, i volontari in Servizio Civile all’estero (inviati dall’Italia) vengono chiamati “Caschi Bianchi” e hanno il compito di operare in modo nonviolento in contesti di conflitto, potenziale o in atto.

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Le attività musicali del COMI a Malalhue, Cile (prima parte)

Le attività musicali del COMI a Malalhue, Cile (prima parte)

di Luigi Donadio

 

Ogni settimana, delle donne campesinas percorrono un lungo tragitto a piedi con una chitarra in spalla. Dalle comunità rurali mapuche entrano nella piccola cittadina di Malalhue e arrivano al Centro comunitario, sede della delegazione municipale del comune di Lanco, nel sud del Cile. Arrivano anche giovani e madri che portano i loro figli. Lì li aspetto io, accordiamo le chitarre e iniziamo.

Il laboratorio musicale del COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo), la ONG con cui stiamo svolgendo il servizio civile, è iniziato da circa due mesi e abbiamo due incontri settimanali, uno per il livello base e un altro per quello intermedio, con sette alunni in totale. Come tutte le attività realizzate dal COMI, è completamente gratuito, in accordo al principio di gratuità, che è uno di quelli su cui si fonda l’operato dell’ONG. Ci sono persone mapuche e cilene non indigene, bambini, adolescenti e alunne adulte.

«Ho 63 anni e voglio imparare a suonare la chitarra!»

è la prima cosa che ha detto un’alunna, come se si sentisse a disagio, come se per qualche oscura ragione fosse tardi. In un territorio complesso, carente di spazi per attività culturali e ricreative, dal clima freddo e piovoso (d’inverno si supera la media di 20 giorni di pioggia al mese), ognuno sospende i propri impegni quotidiani e per un’ora e mezza alla settimana si dedica a coltivare quest’interesse.

Telar (tessuto) mapuche che raffigura una mappa del territorio di Malalhue. Ogni rombo rappresenta una comunità indigena (lof), separata dalle altre da linee che equivalgono a fiumi o ad altri elementi naturali. Museo “Despierta Hermano”, Malalhue, Lanco.

Il laboratorio non mira solo a formare bravi chitarristi, ma soprattutto a far esprimere le proprie emozioni a bambini e adolescenti, che qui generalmente hanno un’attitudine passiva, e a creare aggregazione sociale fra diverse generazioni e culture, come quella mapuche e quella cilena non indigena. Qui ci sono grandi disuguaglianze economiche (soprattutto la minoranza indigena si trova tra le fasce più svantaggiate della popolazione), c’è un welfare assente o insufficiente, l’alcolismo e la tossicodipendenza sono diffusi fin dai 13 anni e si assiste a una forte emigrazione, soprattutto dei giovani. A queste problematiche prova a far fronte il nostro progetto di servizio civile, portato avanti dal COMI in stretta collaborazione col nostro partner locale MEDEMA (Mujeres Emprendedoras de Malalhue1). Il progetto si pone questi obiettivi:

·       favorire la transizione verso una maggiore uguaglianza sociale della minoranza Mapuche di Malalhue;

·       combattere dipendenze da Alcool e droga, specie fra i giovani;

·       rafforzare la motivazione personale dei giovani;

·       sostenere i giovani in un percorso di formazione ed empowerment2, per metterli in condizione di programmare e mettere in pratica il proprio progetto di vita professionale e personale.

Il progetto intende raggiungere questi obiettivi attraverso:

·        la valorizzazione e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale indigeno, soprattutto tra i giovani;

·       il rafforzamento delle possibilità professionali offerte dalle attività tradizionali;

·       potenziare la motivazione personale attraverso la trasmissione della conoscenza della storia e dell’identità indigena Mapuche tra i giovani della regione di Los Ríos per promuovere la crescita di individui più consapevoli.

Quindi, il nostro progetto ha due target principali di beneficiari: i giovani e i Mapuche. Questi ultimi, secondo il censimento del 2017 realizzato dall’Instituto Nacional de Estadísticas (INE), sono un popolo originario che rappresenta il 10% della popolazione cilena (1,7 milioni di abitanti), il 24% di quella regionale e il 31% di quella del comune di Lanco3. Questo territorio ha molte potenzialità, che però spesso non sono sufficientemente valorizzate, mentre potrebbero tradursi in sbocchi lavorativi, anche relativi alle tradizioni indigene. Un’area del progetto è la cosiddetta “palestra culturale”, che coinvolge le persone del posto in diverse attività, come una formazione sui diritti indigeni, un laboratorio di danze popolari europee, tenuto da Marta, e il laboratorio musicale. La musica è uno degli aspetti della loro cultura (assieme all’artigianato, l’agricoltura ecosostenibile, l’arte, il mapunzungun4, le piante medicinali e la filosofia indigena) che stiamo cercando di diffondere grazie a esperti e cultori locali.

Alcuni bambini che frequentano il laboratorio musicale si sono presentati, oltre che in spagnolo, anche in mapunzungun, lingua che qui viene insegnata anche a scuola e salvaguardata, tramite varie iniziative, dal pericolo di estinzione a cui sta andando incontro. Anche la conoscenza della propria cultura è meno diffusa che in passato fra i membri di questo popolo originario, soprattutto fra i più giovani. Ci sono mapuche che si fanno cambiare il cognome (uno dei tratti più evidenti dell’appartenenza al proprio popolo) o che comunque si vergognano della propria identità indigena, perché hanno interiorizzato una mentalità promossa da politiche statali spesso monoculturali e che negavano i diritti indigeni (ancora oggi, la Costituzione cilena vigente, varata nel 1980 durante la dittatura di Pinochet, non riconosce i popoli indigeni presenti nel territorio nazionale). Per questo, ascoltare dei bambini presentarsi in mapunzungun è stato emozionante per me.

Quando ci siamo presentati, ho chiesto a ognuno di dire come si era avvicinato alla musica e perché voleva imparare a suonare la chitarra.

«Mio padre aveva imparato a suonare la chitarra da suo padre e quando ero piccola la suonava con mucho corazón (con molto cuore, con molta passione, ndr)» dice un’alunna, mentre con la gestualità e l’espressione comunica molto di più che con le parole. «Era così bello ascoltare come esprimeva le sue emozioni…».

«Ho saputo che c’era quest’opportunità e visto che da tempo volevo imparare, mi sono detta: “Bene, questa è la mia occasione”» racconta un’altra partecipante. «Io lavoro nelle bancarelle del mercato nella piazza e ho visto che c’era una locandina affissa, poi ho parlato con il professore e gli ho chiesto se c’erano ancora posti disponibili. Nella mia famiglia nessuno suona la chitarra e nessuno mi poteva insegnare».

Ma soprattutto, ci sono alunne a cui non manca l’entusiasmo: «Sono qui perché ho voglia di fare tantissime cose, anche di imparare a ballare la cueca (la danza nazionale cilena, ndr)!».

Fin da subito, questo non è stato solo un corso di insegnamento tecnico di uno strumento, ma anche uno spazio di condivisione. Alcuni parlano delle proprie travagliate vicende familiari o di coppia. Sembra che qui le persone abbiano un grande bisogno di parlare con qualcuno. E io a volte non so bene come rispondere. Ascolto, cerco di essere empatico. Ma a volte mi sento molto impotente. Una volta ho detto loro che attraverso la musica si può esprimere ogni tipo di emozione e persino quelle peggiori, come per magia, si trasformano in qualcosa di bello, di artistico, e che ci avvicina agli altri, che abbiano età, lingue o culture diverse.

Non è stato facile iniziare, anche perché, come in vari progetti di servizio civile all’estero, c’è bisogno di una grande intraprendenza e inventiva per sperimentarsi in ruoli nuovi. Io, ad esempio, non avevo mai insegnato a suonare in un corso strutturato e saper fare qualcosa, ovviamente, non significa saperlo anche insegnare. Quindi, sono andato avanti per prove ed errori, ma soprattutto mi sono fatto aiutare da chi ha molta più esperienza di me, cioè l’associazione culturale “Papageno”, che realizza laboratori gratuiti di musica folclorica latinoamericana e mapuche in molte scuole del territorio. Sono andato a volte incontro agli inevitabili fallimenti di chi si avventura in territori a lui sconosciuti, ma provo una soddisfazione enorme quando vedo gli alunni esercitarsi e raggiungere risultati importanti. Mi emoziona vedere la scintilla che si accende nei loro occhi quando capiscono un concetto di musica che mi sembrava difficile da spiegare e, quando dalle loro dita inizialmente goffe esce il suono armonioso di un accordo, mi stupisce come sentire un bambino che inizia a parlare. Alcuni sono molto motivati e io pian piano sto gestendo il mio ruolo con più sicurezza. Stiamo provando una canzone per un concerto di fine anno, che si intitola Alulú e appartiene al patrimonio della musica folclorica cilena. È un villancico, cioè una canzone natalizia a tema religioso, che ha conosciuto molte versioni, fra cui spicca quella di Violeta Parra.

 (continua)

 

Luigi Donadio

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

 

 

Note

1 “Donne Imprenditrici di Malalhue”.

2 Il termine indica i processi attraverso cui cittadini svantaggiati acquisiscono maggiore potere, tramite la partecipazione in associazioni cittadine e ad altri progetti socio-politici. Tali processi includono anche la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali che in quello della vita politica e sociale (per approfondire cliccare qui).

 

3 Per i dati a livello regionale e comunale, cliccare qui.

 

4 Il mapunzungun è la lingua parlata dai Mapuche di questa zona. Ne esistono diverse varianti, di cui la più nota è in genere il mapudungun (parlato più a nord).

 

5 In Sudamerica, solo Il Cile, l’Uruguay e il Suriname mancano di un riconoscimento esplicito dei popoli indigeni presenti nei rispettivi territori. Per approfondire il tema, anche riguardo alla Costituzione cilena dell’80, cliccare qui.

Il Cile: paese più sognato che paese sognatore

Il Cile: paese più sognato che paese sognatore

Il COMI è presente nel territorio cileno con progetti di inclusione sociale e cooperazione allo sviluppo dal 2019, e mantiene una rappresentante permanente nel paese. Oltre a ciò, attraverso il Servizio Civile Universale (SCU) promosso Dipartimento per le Politiche Giovanili del Governo italiano, invia dal 2021, una squadra di volontari.

Il progetto SCU sviluppato da COMI e coadiuvato dal suo partner locale, MEDEMA Mujeres Emprendedoras de Malalhue, si pone due obiettivi:

  • favorire la transizione verso una maggiore uguaglianza sociale della minoranza Mapuche, attraverso la valorizzazione e conoscenza del patrimonio culturale indigeno
  • sostenere i giovani del Comune di Lanco in un percorso di formazione, di sviluppo dei propri talenti, di rafforzamento culturale e artistico per metterli in condizione di programmare concretamente il proprio progetto di vita personale e professionale.

È per affrontare queste sfide in un territorio così diverso da quello da cui proveniamo, che ci siamo a nostro modo “preparati”, con generiche e modeste informazioni sul Popolo Mapuche, studiando la sua storia e la sua relazione, mai semplice, con lo Stato cileno.

Inutile dire che tutto ciò che avevamo appreso con poco approfondimento e da lontano, in previsione della nostra partenza, è stato stravolto nelle fondamenta dal nostro arrivo a Malalhue, più di tre mesi fa. La complessità, l’universo di tradizioni sociali, culturali e cerimoniali, le mille contraddizioni che caratterizzano la vita di questa area del Sur, la comuna de Lanco, abitata secondo l’Instituto Nacional de Estadísticas (censo 2017) per un 33% da appartenenti a popoli originari, sono impossibili da comprendere senza calarsi appieno nelle dinamiche quotidiane.

Lo stesso censo ci indica una verità poco intuitiva: del totale della popolazione di origine Mapuche, che si aggira attorno al milione e settecentomila individui, l’80% vive in aree urbane, con una significativa e definitiva perdita delle conoscenze tradizionali relative alla coltivazione della terra, all’artigianato, alla medicina, alla storia, alla filosofia e alla cultura indigena. Il 35% dei Mapuche vive oggi nella Regione Metropolitana, mentre, ad esempio, solo il 18% vive in Araucania che è considerata il cuore e la culla di questo popolo.

Il Mapuche, quindi, ha subito il processo, iniziato nel 1861 e con picchi nel corso del ‘900, di sradicamento violento e profondo non solo dalla sua terra natale, dalla sua proprietà, attraverso l’odiosa pratica dei títulos de merced e del confino nelle reducciones; ma anche dalle proprie abitudini sociali comunitarie, il proprio stile di vita, la rappresentazione di sé. A questo bisogna aggiungere che a causa della globalizzazione culturale, delle mode new age e del mito de “l’indigeno buono”, negli ultimi decenni le comunità Mapuche ed i loro membri hanno subito una continua espropriazione culturale da parte di romanzieri, filmografi, imprenditori, antropologi e studiosi occidentali, che hanno fatto di questa cultura oggetto di studio e, più spesso, di mercato.

Non c’è da stupirsi dunque che anche noi, giovani europei pur venuti con la volontà di un approccio rispettoso, riceviamo, la stessa accoglienza tiepida e sospettosa che i Mapuche hanno imparato a riservare agli huinca o winkas, termine che in mapudungún può voler dire “conquistador” ma anche “ladro”.

Allo stesso modo il nostro progetto, prevedento la permanenza di un anno in questo paese, assumeva un significato straordinario in virtù del significativo momento storico di cambiamento che il paese stava per attraversare.

Abbiamo creduto che la continuità tra la feroce dittatura terminata nel 1990 e i governi della “Svolta democratica”, l’eredità rappresentata dal modello economico da essa imposta per le più recenti manovre del Cile liberale, l’enorme disuguaglianza sociale, la povertà, la discriminazione e la vulnerabilità dei gruppi sociali indigeni, fossero realtà evidenti non solo a noi, ma a tutto il popolo cileno. Lo stesso popolo che tre anni fa manifestò “el peor malestar civil desde el final de la dictadura de Pinochet” conquistandosi le piazze di Santiago e delle principali città del paese, pagando un caro prezzo (34 morti, più di 3.000 feriti, 10.000 arresti). Lo stesso popolo che in occasione del plebiscito nazionale dell’ottobre del 2020 aveva indicato con forza (78.28%) la direzione da prendere, chiedendo a gran voce una nuova costituzione che cancellasse quella, oggi vigente, promulgata dalla giunta militare nel 1980.

Conoscere e ritrovarci a fianco ai protagonisti di un cambiamento epocale non solo per il Cile, ma simbolicamente per tutta l’America Latina e forse per il mondo intero, quello preannunciato dalla campagna per l’approvazione della nuova proposta costituzionale, una delle più democratiche e progressiste mai scritte, pareva a noi un’occasione storica inestimabile.

Inutile dire che i risultati che arrivavano, nell’arco di poche ore, dalle urne di voto per il Plebiscito costituzionale del 4 settembre, sono stati per noi una doccia gelida, che ha spento buona parte del nostro entusiasmo e ci ha consegnato l’esigenza di un più concreto realismo.

Il risultato sembra parlare chiaro. La novità è stata rappresentata dal voto obbligatorio: tutti gli aventi diritto sono stati chiamati alle urne, pena una multa. Questa modalità ha allargato il suffragio in maniera mai vista: 13 milioni di cileni, l’85% del totale, si è recata a votare il 4 settembre.
Di questi, 270 mila hanno lasciato la scheda bianca o hanno invalidato il voto. Quasi 5 milioni hanno votato Apruebo, mentre 8 milioni hanno scelto il Rechazo, ossia, il rifiuto e lo stralcio della nuova proposta costituzionale.

Ma da dove arrivava questa proposta? Da chi è stata scritta, in quale modo? E soprattutto, cosa ha portato milioni di cileni che mai avevano votato prima, a rifiutarla così categoricamente?

Torniamo indietro di tre anni: è la notte del 12 novembre 2019. Il presidente Piñera ed i membri del suo gabinetto si incontrano con il generale dei carabineros Mario Rozas, il capo della Defensa Nacional Javier Iturriaga e altri importanti militari. Da settimane Santiago è in preda a scontri violentissimi che hanno provocato numerosi morti e centinaia di feriti, anche tra le forze di polizia. L’argomento principale della riunione è se estendere o meno lo Stato di eccezione costituzionale per stato d’assedio: il governo può assumere la decisione politica di sospendere i diritti costituzionali in alcune zone per aumentare l’agibilità dei militari. Un espediente, quello della sospensione dei diritti costituzionali, previsto dalla costituzione di Pinochet, già attuato alla fine d’ottobre dello stesso anno, insieme al coprifuoco generale, per tentare di calmare le proteste. Non ha funzionato. I generali ed i ministri si accordano per non estendere lo stato d’eccezione, anche considerate le denunce di violazione dei diritti umani che stanno arrivando a centinaia, da dentro e fuori del Cile. Piñera è costretto a convocare una conferenza stampa in diretta per distendere gli animi ed evitare il peggio. Alle 22.30, di fronte al popolo cileno, promette un nuovo accordo nazionale basato su tre punti: pace, giustizia, ed una nuova Costituzione. Tre giorni più tardi, il 15 novembre, si concludono al congresso i negoziati per il nuovo “Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución” e viene annunciato il plebiscito nazionale.

Il plebiscito, seconda tappa

Dopo molti mesi di accesa campagna, nell’Ottobre del 2020 il 78% dei votanti dichiarò di Approvare il processo per fornire il Cile di un nuovo documento costituzionale e scelse quale tipo di organo avrebbe dovuto redigerlo: una Convezione costituzionale eletta direttamente.

In quell’occasione votarono sette milioni e mezzo di cileni, metà degli aventi diritto.

Seguì l’elezione dei membri della Convenzione: nel marzo del 2021, passato il momento critico della pandemia Covid19, vennero eletti in concomitanza con le elezioni comunali e regionali, i 155 membri dell’assemblea che avrebbe scritto la proposta costituzionale. Al suo interno erano rappresentati tutti i partiti del congresso, incluso le destre e gli indipendenti. Dato il regolamento di queste elezioni, metà dei membri della Convenzione erano donne. 17 scranni erano poi riservati a rappresentanti eletti tra i popoli originari: 7 ai Mapuche, 2 agli Aimara, 1 agli Rapanui, ai Quechua, agli Atacameños, ai Colla e così via. I lavori di quest’organo vennero inaugurati il 4 luglio 2021, giorno di assunzione dell’incarico di presidenta semestrale della commissione da parte di Elisa Loncon Antileo, accademica e politica mapuche, e durò fino al 4 luglio del 2022. Durante quest’anno, i costituenti hanno prodotto un documento che stupisce per il suo carattere aperto e paritario, ecologico e femminista. Riportiamo l’articolo 1 della Proposta, che ne annuncia in qualche modo la portata.

Artículo 1

1. Chile es un Estado social y democrático de derecho. Es plurinacional, intercultural, regional y ecológico.

2. Se constituye como una república solidaria. Su democracia es inclusiva y paritaria. Reconoce como valores intrínsecos e irrenunciables la dignidad, la libertad, la igualdad sustantiva de los seres humanos y su relación indisoluble con la naturaleza.

3. La protección y garantía de los derechos humanos individuales y colectivos son el fundamento del Estado y orientan toda su actividad. Es deber del Estado generar las condiciones necesarias y proveer los bienes y servicios para asegurar el igual goce de los derechos y la integración de las personas en la vida política, económica, social y cultural para su pleno desarrollo.

E con l’articolo 5, ineditamente rispetto a quanto non faccia la costituzione del 1980 tutt’ora vigente, riconosce quantomeno l’esistenza dei popoli originari ma non solo, la nuova proposta costituzionale sanciva anche diritti fondamentali, quali la libera determinazione, affermato anche dalla Dichiarazione ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni del 2007.

L’articolo 5 è solo uno fra i molti articoli dedicati ai diritti dei popoli originari, che vanno dal diritto all’identità culturale (art. 65), ai diritti alla consulta indigena (art. 66), all’autonomia e all’autogoverno (art. 34).

Non ci dilungheremo oltre nel descrivere quanto dirompente e rivoluzionario appaia ai nostri occhi il documento di questa carta. Trovate il testo intero a questo link

https://www.chileconvencion.cl/wp-content/uploads/2022/07/Texto-Definitivo-CPR-2022-Tapas.pdf

4 settembre 2022. La proposta per una nuova Costituzione che rechi più diritti sociali, spazio alla plurinazionalità rivendicata dai popoli originali, più parità tra i generi, leggi a difesa dell’ambiente e della natura è stata cestinata per sempre dopo la più partecipata tornata alle urne mai avvenuta in Cile. Una sconfitta dura per i comitati, per le associazioni civili, e certamente per il governo di Gabriel Boric. Una vittoria schiacciante per altri, per le destre certamente ma anche per buona parte del popolo cileno, che invade le piazze di Santiago, Valparaíso, Concepción per festeggiare. In mezzo allo smarrimento generale che regna nel fronte del “Apruebo” qualcuno promette che la lotta non è finita, che la costituzione va cambiata per il valore vincolante che ha il referendum del 2020. Boric esonera un paio di ministri, quelli che più si erano spesi nella campagna. Ora, il congresso ed i capi dei partiti dovranno trovare un accordo su chi dovrà scrivere di nuovo laproposta. Ma senza strafare stavolta, senza eccedere nel progressismo, senza far infuriare le frange più conservatrici, magari i cattolici, magari gli industriali, gli investitori americani, europei e del mondo capitalista.

Che cosa diavolo è successo?

L’analisi di questo risultato non può che partire da un punto fermo: la proposta costituzionale era davvero molto progressista. Era scritta da persone, crediamo, che si sono assunte la responsabilità e il diritto di sognare, e di farlo in grande. Alcuni degli articoli potrebbero davvero essere stati ritenuti controversi da una parte della società cilena meno incline a grandi cambiamenti. Ma di quali grandi cambiamenti stiamo parlando?

Gli argomenti principali erano, più o meno, l’incentivo alla partecipazione democratica, la parità di genere, la decentralizzazione (in uno dei paesi più centralizzati al mondo), l’ecologia ambientale e, in una certa misura, dei riconoscimenti economici, politici e legali ai popoli originari del Cile. Inoltre, e forse qui risiede la chiave di lettura più chiara, la Nuova costituzione si proponeva di mettere un serio bastone tra le ruote del sistema Neoliberista cileno. Un sistema che si è alimentato fin dagli anni ‘70, con le riforme dei Chicago boys, e che non ha mai smesso di essere il modus operandi delle élites politiche, di destra e di sinistra, che hanno deregolarizzato e liberalizzato quanto c’era da privatizzare, ripetendo il mantra del libero mercato caro a Milton Friedman, e che ha generato enormi disuguaglianze economiche in tutto il paese. Insomma, c’era chi s’aspettava che il Neoliberismo, nato in Cile, in Cile sarebbe morto. Così non è stato.

Un aspetto fondamentale per considerare le cause di questo risultato è certamente l’imponente campagna propagandistica che le forze per liberali, di centro-destra, destra ed estrema destra hanno dispiegato per affossare la bozza costituzionale. I dati raccolti dall’agenzia Ciper indicano, ad esempio, che diverse organizzazioni “fantasma”, non iscritte alla campagna ufficiale, hanno speso 120 milioni di dollari per soli avvisi nelle reti sociali, contro i 660 mila dollari spesi dalle organizzazioni pro-apruebo. Una vera e propria macchina del fango, considerato che la maggior parte di questi avvisi presentava un tono sensazionalistico, che mirava ad incutere paura. Inoltre, come segnalato precedentemente da COMI, non si contano gli importanti tabloid finanziari internazionali, l’Economist in testa, che hanno segnalato ai loro rispettabili lettori quanto la proposta fosse “eccessivamente progressista” oppure “a tratti eccentrica”.

Uno dei punti enigmatici di questo risultato è perché la maggioranza della popolazione mapuche abbia votato per il Rechazo. Secondo i dati del Servel (Servicio Electoral de Chile), nel Comune dell’Alto Bío-Bío, dove l’84,20% della popolazione è mapuche, il Rechazo ha raggiunto il 70,75%. Nelle dieci comunas con più alta percentuale di appartenenti al popolo originario (fra il 50 e l’80%), nella regione de La Araucanía, considerata la culla del popolo mapuche, il Rechazo si è attestato sempre al di sopra del 68%, superando la media nazionale.

Emblematico il caso di Tirúa, col 70,40% di popolazione mapuche, dove è stato eletto per cinque mandati di seguito il primo sindaco mapuche della storia del Cile, Adolfo Millabur Ñancuil, poi eletto anche alla Convención: anche lì il Rechazo ha trionfato col 77,25% dei voti.

Come si spiega tutto ciò? Sono state avanzate molte ipotesi, ma forse la più convincente è quella della ex Presidenta della Convención, nonché attivista e accademica mapuche Elisa Loncón. Quest’ultima in un’intervista a Interferencia ha affermato che la violenza statale – compreso “il ripudio della nostra lingua, cultura, identità, del vestito della donna mapuche” (di tutto ciò è stata personalmente vittima la Loncón) – “ha danneggiato l’auto-riconoscimento”.

Un altro fattore che ha causato questa mancanza di consapevolezza, secondo la Loncón, è “l’assedio dei mezzi di comunicazione alle comunità con un linguaggio violento”. Per cui, prosegue, “c’è anche blanqueamiento indígena (che si potrebbe tradurre con ‘voler assumere l’identità di un bianco, sbiancamento’, ndr), c’è chi non vuole essere mapuche, chi si fa cambiare il cognome, c’è auto-negazione”. I pregiudizi contro i Mapuche dovuti alla mentalità coloniale sarebbero quindi stati interiorizzati da una fetta non indifferente della stessa popolazione originaria. Del resto, come spiegarsi che spesso le classi più svantaggiate della popolazione negli ultimi decenni votino la destra e l’estrema destra in molti Paesi occidentali.

Tornando al nostro progetto e al territorio in cui operiamo, anche a Lanco (31% di popolazione mapuche) ha trionfato il Rechazo con il 69%. Qui la scarsa consapevolezza della cultura mapuche si evidenzia soprattutto fra i giovani. Secondo un’indagine condotta dal COMI nel 2018-19, il 90% degli abitanti di Lanco fra i 13 e i 19 anni dichiara di conoscere poco o superficialmente la cultura mapuche. Stiamo iniziando a rinforzare questi aspetti grazie ad esperti in varie attività, ad esempio una formazione sulla promozione, difesa ed esercizio dei diritti indigeni, diversi laboratori di scambio culturale ed artistico, ed il nostro programma radiofonico “Mari mari kom pu che”.

Sicuramente oggi c’è ancora più bisogno del nostro lavoro qui. Gli obiettivi del nostro progetto sembrano delle utopie ad alcuni di Malalhue con cui interagiamo ogni giorno, e certamente all’indomani della vittoria del Rechazo lo sembrano ancora di più. Ma noi siamo parte di un processo iniziato l’anno scorso e che impiegherà tempo a dare i suoi frutti: probabilmente noi ne vedremo una piccolissima parte. Il motto del COMI è “costruttori di speranza”. Quindi, non perderemo la speranza in un mondo più giusto, nonostante le sconfitte e le battute d’arresto di cui è disseminata la strada per raggiungerlo.

Nuovi volontari in Servizio Civile COMI a Malalhue, Lanco.

Dopo alcuni giorni di viaggio siamo giunti finalmente nella sede del nostro anno di servizio civile. Si tratta della città di Malalhue, nel comune di Lanco, regione di Los Ríos, nella macrozona Sur. Al nostro arrivo siamo stati splendidamente accolti dai rappresentanti di Medema, la Organización Mujeres Emprendedoras de Malalhue, nostro partner locale.

Il progetto a cui Comi e Medema collaborano mira al rafforzamento del ruolo dei giovani, sostenendo il loro percorso personale, identitario e professionale, attraverso la diffusione fra i giovani della storia e della cultura mapuche.

Nella regione sono presenti, come in tutto in Cile, gravi disuguaglianze che si evidenziano nel campo dell’educazione, della salute, dell’accesso ai servizi e alle risorse, con particolare svantaggio per i popoli originari. La preziosa eredità sociale e culturale mapuche è in pericolo a causa del modello di sviluppo imposto dalle politiche neoliberali cilene a partire dagli anni ‘70.  La stessa Malalhue è circondata da pini ed eucalipti, piante non autoctone, monoculture in mano alle imprese forestali che alterano l’equilibrio ambientale della regione e che hanno ridotto notevolmente i terreni coltivabili. Da un’indagine portata avanti dal Comi nel 2018-19 è emerso che il 90% dei giovani del comune di Lanco fra i 13 ei 19 anni dichiara di conoscere poco o superficialmente la cultura Mapuche. Questa precaria condizione identitaria, unita alla forte disoccupazione ed emigrazione giovanile, è una delle cause principali dell’alto consumo di alcol e droga tra i giovani.

Nel nostro primo incontro con Medema abbiamo avuto modo di presentarci e di conoscere le donne contadine e imprenditrici che lo compongono, e nonché le loro famiglie. Il loro lavoro è tanto difficile quanto importante. Da anni, esse portano avanti un nuovo progetto di vita e di lavoro collettivo, nel solco della tradizione comunitaria mapuche.

Attraverso il programma di sviluppo rurale condividono momenti tipici della tradizione agraria indigena, in particolar modo per quanto riguarda la coltura dei fagioli e delle piante medicinali. Patrocinano ed organizzano fiere e mercati nei quali vendono prodotti agricoli, ma anche artigianali, come la lana intessuta con il telaio tradizionale. La vita agricola, salute ed il benessere fisico, la trasmissione della cultura ancestrale si mescolano nei progetti che queste donne portano avanti quotidianamente, lottando contro la disgregazione del proprio tessuto sociale.

Per noi civilisti Comi è un privilegio ed un’opportunità poter condividere una parte di questo percorso insieme a loro. Da parte nostra, con il supporto del nostro supervisore locale, Pilar Reuque, intendiamo innanzitutto fornire tutto l’aiuto possibile a Medema nei suoi progetti. Vogliamo proporre diverse attività nelle scuole del paese, ad esempio laboratori di teatro, di musica, di utilizzo della tecnologia, ed altre rivolte alla cittadinanza, come una radio comunitaria, tornei sportivi, presentazioni di libri ed eventi culturali.

Siamo appena arrivati, e stiamo iniziando a comprendere la complessità di una realtà così affascinante e piena di contraddizioni. Di fronte a noi ci sono tante sfide impegnative ma stimolanti. Abbiamo una grande voglia di metterci in gioco e soprattutto di apprendere.

Il primo appuntamento e banco di prova sarà martedì 2 Agosto, in occasione dell’inaugurazione del mercato in piazza Malalhue. Speriamo di riuscire a dare il nostro apporto in modo utile e costruttivo. Pewkayall!

Pasqua COMI 2022

Pasqua Solidale con il COMI!

Anche quest’anno per la raccolta fondi pasquale ci siamo affidati ad ADGENTES, Associazione di Promozione Sociale che dal 1994 riunisce soci e volontari intorno a un ideale comune: il commercio equo e solidale. 

Vi proponiamo pertanto due sacchetti di ovetti di cioccolato, uno al latte e uno fondente, confezionati in bustine trasparenti biodegradabili e compostabili in polpa di cellulosa derivata dagli scarti di lavorazione di piante con ricrescita veloce. In questo modo si riduce l’utilizzo di plastica e di quelle confezioni che – dovendo evitare il contatto diretto tra cioccolato e imballaggio – richiedono l’ulteriore confezionamento dell’ovetto con la stagnola.  Siamo stati quindi attenti all’ambiente.  

E non finisce qui, per rendere la proposta ancora più accattivante, abbiamo racchiuso gli ovetti in deliziose bustine di carta, decorate a mano da Patrizia abile artigiana, che si è sbizzarrita realizzando motivi originali e festosi…

L’offerta minima per ciascuna confezione è di 15,00 euro.

Il ricavato, al netto delle spese sostenute per realizzarle, finanzierà le attività del COMI a favore dei bambini Talibé di Kaffrine

I bambini Talibé sono bambini di età compresa tra i 3 e i 15 anni, provenienti principalmente da villaggi delle zone rurali del Senegal e dei vicini Mali, Gambia e Guinea Bissau, inviati dai loro genitori presso le daara, tradizionali scuole coraniche per l’apprendimento del Corano e dei precetti dell’Islam. 

I bambini vivono qui in condizioni igienico-sanitarie precarie, lontani dall’affetto delle famiglie, costretti a mendicare per nutrirsi e pagare i loro maestri. Sono spesso vittime di violenza e non hanno diritti. La maggior parte non è registrata all’anagrafe e quindi di fatto “invisibile” alla comunità.  

Nel foglio allegato alle confezioni troverete ulteriori e circostanziate informazioni su questa realtà.  

Il ricavato, al netto delle spese sostenute per realizzarle, finanzierà le attività del COMI a favore dei bambini Talibé di Kaffrine. I bambini Talibé sono bambini di età compresa tra i 3 e i 15 anni, provenienti principalmente da villaggi delle zone rurali del Senegal e dei vicini Mali, Gambia e Guinea Bissau, inviati dai loro genitori presso le daara, tradizionali scuole coraniche per l’apprendimento del Corano e dei precetti dell’Islam. I bambini vivono qui in condizioni igienico-sanitarie precarie, lontani dall’affetto delle famiglie, costretti a mendicare per nutrirsi e pagare i loro maestri. Sono spesso vittime di violenza e non hanno diritti. La maggior parte non è registrata all’anagrafe e quindi di fatto “invisibile” alla comunità.  Nel foglio allegato alle confezioni troverete ulteriori e circostanziate informazioni su questa realtà.  

 

Per prenotare le confezioni telefonate al numero 06 70451061 il martedì e il giovedì dalle ore 10 alle ore 18.00 oppure scrivete una mail a segreteria@comiorg.it indicando le quantità richieste, la modalità di pagamento (contanti, bonifico bancario, c/c postale), e concordando il giorno del ritiro presso il COMI. 

 

Serena Pasqua a tutti